Ieri sera vado a fare la spesa e al banco frutta trovo niente meno che varie cassette di uva. Decisamente siamo fuori stagione per l’uva, con tutta la buona volontà un produttore italiano puo’ mantenere il frutto sulla vite fino ad ottobre-novembre, dicembre forse in vigneti molto ben protetti; eppure in febbraio sul bancone del fruttivendolo c’e’ ancora l’uva, a un prezzo accettabile (2,90 euro al chilo) e pure di qualita’ media. La frutta ovviamente non era stata prodotta nelle splendide campagne della Puglia ma… in Costa Rica. Ripensando a questo episodio, oggi, mi sono trovato, dunque, a riflettere sulla possibilita’, sconosciuta fino a qualche anno fa, di avere ogni tipo di frutta e verdura e in ogni stagione.
Personalmente a me l’uva piace molto e poterla comprare a febbraio a prezzi quasi da saldo mi sembra un ottimo affare; d’altro canto c’è da dire che la moda ecologista dei prodotti alimentati a chilometro zero porta con se indubbi vantaggi. Pere chi non lo sappia sto parlando di frutta, verdura, salumi, formaggi prodotti a poca distanza dalla tavola del consumatore, così da risparmiare i costi ambientali dovuti alle emissioni di gas serra durante il trasporto. Tuttavia se pure, nemmeno con dati scientifici seri, riuscirebbero a convincermi che a livello ecologico questa trovata apporti un significativo miglioramento ci sono un sacco di motivi per sostenere il consumo di prodotti territoriali. In primo luogo esiste una motivazione economica; chiaramente favorire l’agricoltura delle nostre terre e tutto il relativo indotto non può fare che bene all’economia. Una seconda motivazione riguarda la qualità dei prodotti. E’ ovvio che solo un idiota campanilista affermerebbe che i prodotti del proprio territorio siano migliori di quelli del Costa Rica a prescindere, ma è comunque evidente che un controllo sulla qualità e sui metodi di produzione sia più semplice da esercitare a 5km di distanza piuttosto che a 5000; dunque appare chiaro che la ciliega che compro a Turi direttamente dal produttore sia inevitabilmente più buona di quella importata dal Sud America che compro all’ipermercato. Ovviamente è inutile dire che la qualità costa e non tutti sono disporti a pagare un prezzo, a volte anche doppio o triplo per un prodotto, tutto sommato, simile a quello di importazione e come dargli torto… inoltre è inutile nascondersi dietro un dito, semplicemente il nostro paese non è in grado di produrre generi alimentari per tutti e se ci provasse altro che scempio ambientale… dunque l’importazione è necessaria. Torniamo quindi al punto di partenza: quanto è giusto importare i prodotti alimentari da un altro continente, anche e sopratutto prodotti alimentari fuori stagione o “esotici”. Per quanto mi riguarda una cosa non esclude l’altra e se preferisco comprare i prodotti di stagione (quando ne ho il tempo) direttamente (o quasi) dal produttore mi fa piacere anche mangiare l’uva in febbraio, magari assieme ai datteri freschi importati da Israele; ciò anche perchè mele e pere non è che mi diano molta soddisfazione. Quindi la si pianti di dipingersi di verde anche perchè ormai è un colore sfruttato e si accettino, insieme ai tanti difetti, questi pregi della globalizzazione, pensando che, come ampiamente sancito nel recente summit sul clima di Copenaghen delle emissioni di gas serra non frega nulla a nessuno.

2 commenti
    • Angelo
      Angelo dice:

      Qui scatta un problema di altro tipo. E’ vero aspettare la primavera per mangiare le fragole e le ciliege, l’estate per le nespole, le pesche e le albicocche ricorda un po’ i tempi andati; è vero è bello il fatto di mangiare i frutti di stagione… ma mica è colpa mia se i frutti più buoni si concentrano solo in primavera estate: mele e pere NON mi piacciono!!!

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