Un gruppo di animalisti fa irruzione in un laboratorio di ricerca per “salvare” alcune scimmie utilizzate per degli esperimenti. Agli animali è stato inoculato infatti, un agente patogeno, una  variante del virus della rabbia, per poi essere sottoposti alla visioni forzata di immagini di violenza.  Appena libere le scimmie mordono uno degli animalisti contagiandoli. 28 giorni dopo Jim, un corriere irlandese in coma dopo un incidente stradale si risveglia in una Londra inaspettata.

Questo film britannico, del 2002, un horror fantascientifico per la regia di Danny Boyle, mi era sfuggito e mi è capitato di vederlo quasi per caso. Mi aspettavo un B-Movie invece, nonostante la tematica un po’ abusata del virus “letale” e i richiami agli zombi sempre troppo sfruttati, la trama si svolge in maniera dinamica e coerente senza mai scadere, come sarebbe facile e prevedibile nel banale e riuscendo ad allontanare il senso di “già visto” che sarebbe lecito aspettarsi da una pellicola come questa; nonostante i pochi mezzi con cui è realizzato nel film, poi, c’è una grande cura della fotografia e ogni scena sembra studiata nei minimi dettagli.

“28 giorni dopo” non spicca, tuttavia, per la capacità recitativa degli attori protagonisti (Cillian Murphy e Naomie Harris) e, in particolare, quello che sarebbe stato il futuro nono Dottor Who (secondo me fra i migliori), Christopher Eccleston, qui nei panni del maggiore di una milizia scampata al virus, non ci fa una gran bella figura.

In definitiva un bel film da vedere.

Qualche tempo fa avevo preannunciato l’uscita di Space Battleship Yamato, il live movie di uno degli anime più famosi degli anni ’70, Uchū Senkan Yamato. 

Questo anime, il primo di science fiction, realizzato da Leiji Matsumoto fu trasmesso sulla TV Svizzera Italiana nei primi anni ’80 riadattando la versione distribuita sul mercato statunitense con nomi di fantasia made in USA. Così il capitano Jūzō Okita diventa Avatar e Susumu Kodai diventa Derek Wildstar (fra l’altro in italiano pronunciato esattamente come si scrive).

Furono prodotte tre serie La ricerca di Iscandar (26 episodi, 1974)L’Impero della Cometa (26 episodi, 1978)Le guerre di Polar (25 episodi, 1981) tutte trasmesse nel nostro paese; in seguito furono prodotte cinque pellicole cinematografiche d’animazione e il live movie del 2010 che riprende le vicende della prima serie: la Terra dopo un conflitto col pianeta Gamilas nel 2199 è totalmente devastata dalle radiazioni e solo un dispositivo,  offerto dalla regina Starsha del pianeta Iskandar, denominato Cosmo DNA, è in grado di riportare l’atmosfera e il suolo del pianeta alle condizioni originarie. L’unico problema è che il pianeta Iskandar dista dalla Terra qualcosa come 148.000 anni luce e che il nostro pianeta ha solo un anno di vita prima di essere devastato in maniera irrecuperabile. Niente paura, Iskandar fornisce anche i piani per un motore in grado di fornire l’energia sufficiente ad effettuare i balzi interstellari; viene recuperata, così, la nave da battaglia Yamato affondata durante la Seconda Guerra Mondiale e modificata in modo da poter viaggiare nello spazio e diventare una vera e propria astronave, l'”Astronave Argo”. La Argo è equipaggiata da varie batterie di cannoni a raggi oltre che dal  cannone a onde moventi un arma micidiale in grado di emettere un potentissimo raggio di energia che si sprigiona da una bocca di fuoco  al centro della nave. Per emettere il raggio la Argo deve collegare al cannone il motore interstellare (bella la sequenza animata in cui si vede il motore connesso al cannone) e il consumo di energia è tale che la nave ne resterà priva per un’ora, La nave Argo è equipaggiata inoltre con varie squadriglie di caccia leggeri in grado di combattere nello spazio. La Argo viene affidata ai “Guerrieri delle Stelle” con al comando il capitano Avatar(Ammiraglio Juzo Okita). Altri personaggi sono Derek Wilstar(Sasumu Kodai, che diventa capitano nella 2a serie), Mark Venture (Daisuke Shima), dr. Sane (dr. Sado), Nova (Yuki Mori). Ovviamente il viaggio della Argo non sarà facile e sarà ostacolato dal Leader Supremo Desslock. Tuttavia la nave riuscirà nella sua missione anche se alla fine il capitano Avatar soccomberà e Derek Wilstar prenderà il comando.

Il film del 2010  non è molto diverso dalla trama originale della prima serie. Siamo sempre nel 2199, dal pianeta Iskandar giunge una capsula con i piani per la costruzione di una nave alimentata da un motore ad onde moventi in grado di compiere balzi interstellari. La capsula racchiude in se la promessa di ripulire il mondo dalle  radiazioni generate dalle bombe dell’impero di Gamilas, apparso dal nulla 5 anni prima, per attaccare la Terra (si scoprirà in seguito che le bombe sono solo un metodo di Gamilas-formazione del nostro pianeta per adattarlo alle loro forme di vita in fuga dal proprio pianeta morente).

La Terra e ormai alo stremo e Iskandar è l’ultima speranza dell’umanità, ridotta ad elemosinare cibo, fra le macerie e la distruzione. Viene costruita, così,  l’astronave Yamato, riprendendo il nome della famosa corazzata della Marina Imperiale Giapponese affondata dagli americani nel 1945, che viene lanciata verso il pianeta Iskandar alle coordinate del messaggio presente nella capsula. Sulla Yamato si arruola, fra i volontari, Sasumu Kodai, più che altro per conoscere il capitano Okita, secondo lui responsabile della morte del fratello durante una battaglia contro i Gamilas su Marte.

La Yamato si fa strada fra salti interstellari e battaglie con i Gamilas, a colpi di cannone a onde moventi, fino al pianeta Iskandar solo per scoprire che Iskandar e Gamilas sono due facce della stessa medaglia, due correnti di pensiero nate in una forma di vita altamente interconnessa su un pianeta morente. Iskandar è disposta ad accettare il proprio destino di morte, Gamilas vuole impossessarsi della Terra e adeguarla alla propria forma di vita. Iskandar darà, dopo una dura battaglia fra i Gamilas e i Terrestri, ai superstiti della Yamato, gli strumenti per salvare la Terra. La Yamato, così, dopo essersi sacrificata insieme al suo capitano Sasumu Kodai(che durante il viaggio aveva preso il posto di Okita malato terminale) nella sua ultima battaglia con Gamilas e con Deslar alle porte della Terra porterà a termine la sua missione di distruggere gli alieni e riportare il nostro pianeta agli antichi fasti.

Beh guardare questo film non è stato facile, dura 130 minuti e per me è difficile stare tranquillo per due ore consecutive. Nonostante, dunque, l’abbia guardato “a puntate”, se non ci si aspetta un capolavoro, il film è godibilissimo e anche gli effetti speciali tutto sommato non sono malaccio; il fatto stesso di poter vedere la Yamato combattere in un film mi ha fatto rimanere tutto il tempo con un sorrisino idiota stampato sulla faccia. Ovviamente non esiste (ancora?) una versione italiana del film.

Il film è stato diretto da Takashi Yamazaki e scritto da Leiji Matsumoto.

Con la nascita di Gabriele e con Monica non “in formissima” sono qui a gestirmi i pargoli e aumentano i momenti per poter guardare qualche serie accantonata in un cassetto (espressione desueta per definire una cartella sperduta in un hard disk dimenticato).

 

 

E’ la volta di PlanetES un anime fantascientifico basato sul manga omonimo di Makoto Yukimura uscito nel 2001.  PlanetES è la trascrizione del termine  ΠΛΑΝΗΤΕΣ che, in greco antico, significa “errante” (vagabondo) e da cui ha origine il termine italiano “pianeta”.

 

La serie è pura hard science fiction, cosa infrequente anche se non insolita per le produzioni giapponesi; il mecha design è molto curato e anche gli svarioni scientifici sono moto limitati, oserei dire che è una serie ideale per ragazzi di 14-16 anni, ma godibilissima anche da un adulto.

 

La storia si svolge intorno al 2075, il primo episodio si apre con un volo spaziale commerciale, un’astronave simile ad un aereomobile orbita intorno alla Terra, sui sedili gente che va in vacanza, facce sorridenti, clima rilassato… in lontananza un bullone incrocia la rotta del volo spaziale e impatta violentemente con un oblò dell’astronave causandone la decompressione esplosiva e la morte di tutti i passeggeri.

Questo disastro accende i riflettori su un problema enorme per il futuro dell’esplorazione nello spazio: i detriti spaziali.

 

Decenni di missioni esplorative in orbita, satelliti abbandonati, materiale usato per la costruzione di stazioni spaziali, attrezzi smarriti dagli astronauti durante le riparazioni in orbita, hanno riempito lo spazio attorno alla Terra di tonnellate di spazzatura cosmica alla deriva. Non tutti i detriti sono mappati e anche un piccolo bullone, come abbiamo visto, può causare una catastrofe.
La Technora Corporation è una multinazionale con grossi interessi nell’esplorazione spaziale; una delle sue sezioni, la Sezione Debris, si occupa proprio di raccogliere i detriti spaziali  per salvaguardare le astronavi dai rottami vaganti, in pratica sono dei veri e propri spazzini orbitali.

 

Raccogliere detriti senza valore è un lavoro costoso e per nulla remunerativo e la Sezione Debris è una vera e propria armata Brancaleone, un gruppo di casi  umani, astronauti quasi per caso, ma che ogni giorno fanno la differenza. Spesso la raccolta dei detriti è solo funzionale a raccontare le storie dei personaggi, i loro rapporti, i loro sentimenti; a raccontare un futuro possibile che eredita tutti i difetti di un indimenticato passato: corruzione,  ingerenze della politica, terrorismo…

 

L’ anime è stato realizzato da Sunrise, prodotto da Yoshitaka Kawaguchi e composto da 26 episodi, distribuito in Italia dalla francese Beez Entertainment in 6 DVD.

 

Bellissima la sigla di apertura che presenta i personaggi principali mentre ripercorre le tappe dell’esplorazione spaziale.

Le cittadine di provincia, negli USA, sorprendono sempre per essere quasi delle città stato con leggi e regolamenti proprie oltre a un sindaco e uno sceriffo che fanno il bello e il cattivo tempo nella città; altro che il federalismo all’acqua di rose Umberto Bossi. In un contesto del genere è facile immaginare che si possa costruire una città controllata dal governo e abitata da soli geni, giusto per vedere cosa viene fuori. Presumibilmente negli anni ’40, dunque, da un’idea di Albert Einstein, nasce nel cuore degli Stati Uniti, Eureka, una cittadina che ruota intorno alla General Dynamics, società controllata dal governo e che si occupa di “impiegare” i talenti dei cittadini di Eureka per rivoluzionarie scoperte scientifiche e militari.

Eureka non è un posto normale, supernove che esplodono, bombe atomiche, viaggi nel tempo, cambiamenti nella gravità sono all’ordine del giorno come sono all’ordine del giorno i guai causati da questi esperimenti e che vedono la città in pericolo di evacuazione praticamente ad ogni episodio della serie; sì perché sto parlando di una serie televisiva dove il protagonista principale è lo sceriffo Jack Carter che è chiamato di volta in volta a sbrogliare la matassa utilizzando un approccio ai problemi scarsamente scientifico ma molte volte risolutivo.

Alle vicende di Eureka sono intrecciate le vicende personali di Carter: i problemi adolescenziali di sua figlia Zoe, l’amore contrastato per la dottoressa Allison Blake, la rivalità con il premio nobel Nathan Stark, l’amicizia con Henry Deacon. In un susseguirsi di colpi di scena con una leggerezza rara nelle serie di sf moderne, ogni episodio di Eureka, anche i meno belli, accompagnano lo spettatore alla fine della storia guidandolo attraverso la realtà alternativa del telefilm che diventa solo strumentale all’economia del racconto.

Un solo rimpianto, nel pilot della serie (bruttino) era presente Greg Germann nei panni del dott. Warren King, poi sostituito nella prima stagione da Nathan Stark; beh Germann (il Richard Fish di Ally McBeal) era adattissimo alla parte dello scienziato schizzato e un po’ stronzo e mi sarebbe piaciuto vederlo nel cast regolare.

 

Niente petrolio o fissione nucleare, niente ingombranti pannelli solari o brutte pale eoliche, la soluzione dei problemi energetici si chiama elio-3, un combustibile indispensabile nelle centrali elettriche a fusione di nuova generazione. L’elio-3 è raro sulla Terra ma è presente, in grandi quantità, sul lato oscuro della Luna ed è proprio qui che la Lunar Industries ha costruito una base lunare per supervisionare la raccolta del prezioso isotopo da inviare sulla Terra.
La base lunare è abitata da un unico umano, Sam Bell, con un contratto triennale con la Lunar. Nel suo compito di supervisore, Sam, che non può comunicare direttamente con la Terra, per via di un'”avaria” al satellite di trasmissione, è aiutato da GERTY, il computer che controlla la stazione e che interagisce con Sam mediante alcuni alter-ego robotici che circolano nella base e che sono anche in grado di utilizzare dei complessi manipolatori.

Arrivato alla scadenza del suo contratto triennale, però, Sam comincia a sentirsi debole e a soffrire di allucinazioni, il  suo stato “alterato”, lo porterà a commettere errori fino ad un grave incidente col suo rover occorsogli mentre si dirigeva verso uno dei raccoglitori. Dopo l’incidente Sam si risveglierà nell’infermeria della base in preda ad una lieve amnesia ed è da qui che ha inizio  la storia ; è da qui che il povero Sam comincia a capire che la sua vita, il suo contratto, il suo universo è in realtà solo una squallida messa in scena.

Non andrò oltre con la storia per non rovinare la sorpresa a chi il film non l’avesse visto, non posso fare a meno di dire, tuttavia, che Moon è una delle più belle pellicole di Scence Fiction degli ultimi anni. Nessun badget stratosferico, effetti speciali ridotti all’osso con un ritorno ai classici modellini, cast composto da un solo attore ma una storia solida e che fa riflettere. Un film con un forte sapore anni ’70, con tanti riferimenti ai romanzi di Clarke e alle pellicole della classic Science Fiction, come 2001 Odissea nello Spazio o Alien; unico neo, forse il film è un po’ lento, sopratutto sul finale, ma questo potrebbe anche essere un pregio.

Il lavoro fatto dal regista Duncan Jones (figlio del più noto David Bowie) nel suo primo lungometraggio, realizzato nel 2009, merita davvero di essere visto; mi spiace solo di aver rimandato la visione di questo piccolo capolavoro per vedere quella vaccata dell’ultima stagione e mezza di Babylon 5.