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Oggi Pierpaolo se ne esce con:
Arcà(1) non sono mai andato nello spazio e nemmeno in treno-,
cioè per lui viaggiare in treno o in astronave è sostanzialmente una questione di mezzo di trasporto e questo, se da un lato è inquietante, spiega cosa sta succedendo, in questi anni, alla science fiction, sopratutto, televisiva.

A parte Stargate Universe, finita ingloriosamente, in TV non si riesce più a vedere un bel fondo stellato e un’astronave con un equipaggio pronto a esplorare nuovi mondi. Per quanto mi riguarda è dalla fine di Star Trek:Deep Space Nine che non c’è una serie TV, chiamiamola di hard science fiction, fatta come si deve. La verità è che la fantascienza dura e pura non tira: negli anni ’60 un tablet che oggi costa 80 euro era uno strumento impensabile, coi comandi vocali si dialogava solo col computer di bordo dell’Enterprise, se dovevi comunicare con qualcuno dovevi chiamare un centralino, i computer, pure quelli fantascientifici, erano grossi, a valvole ed emettevano un sacco di beep. Oggi siamo abituati ad essere connessi 24h su 24h, se mi viene un dubbio su qualcosa lo cerco su Google col Blackberry, in un certo senso oggi è difficile ridestare quel “sense of wonder” che ha fatto la fortuna della SF letteraria e cinematografica negli anni ’60 e ’70. Gli stessi produttori e registi che hanno realizzato piccoli capolavori negli anni ’70 e ’80 hanno cambiato il loro approccio, non cercano più di creare stupore, l’ambientazione fantascientifica, oggi, è diventata solo strumentale a raccontare una storia, una storia che avrebbe potuto essere ambientata, nello stesso modo, in un liceo americano o nel far west. Prendiamo uno dei blockbuster della science fiction di questi anni: “Avatar”(2009). Chiunque ami, almeno un po’, la fantascienza non può non considerare Avatar nulla più che una vaccata immonda eppure produttore, sceneggiatore e regista del film è James Cameron, lo stesso Cameron di Terminator, Aliens, The Abyss, sì OK ha fatto anche Titanic, ma è proprio questo il punto: Avatar poteva essere ambientato su un barcone che affonda, sul pianeta Pandora o nel ballatoio di casa mia, sarebbe rimasto comunque una squallida storia d’amore e d’avventura infarcita di buoni sentimenti, NON c’è un solo elemento fantascientifico nel film realmente indispensabile per narrare la storia, non è Aliens, non è Terminator. Il problema quindi è il pubblico, non voglio credere che sia Cameron a corto di idee; spesso si parla di crisi di idee degli sceneggiatori ma se mio figlio, a quattro anni, non è per niente impressionato dal fatto di poter viaggiare fra le stelle e incontrare Topolino Marziano, hai poco da inventarti nuove storie, nuove tecnologie, nuove civiltà aliene per mio figlio sarà sempre un po’ come vedere uno spettacolo stantio, come può essere per me guardare un teatro di burattini. Sì certo si appassionerà nel vedere le battaglie in computer grafica dei Transformers ma difficilmente riuscirà ad innamorarsi di un futuro sognato, per certi aspetti, persino più arretrato del suo presente  e questo è un maledetto peccato.

(1) sì, mio figlio mi chiama Arcà

Comincio questo nuovo anno scrivendo un post mentre tengo in braccio mio figlio Gabriele, nato nel 2011, segno che tutto sommato l’anno passato, per me, non è stato poi così male. E’ inutile dire che non è certo un giorno in più nel calendario a poter cambiare la gente, infatti, come ogni primo dell’anno, c’è il solito bilancio di morti ammazzati, invalidi permanenti e feriti gravi lasciati dai botti di fine anno, a dimostrazione che la persone non migliorano perché cambia il calendario e che ci sono in giro un buon numero di idioti che, non solo sono capaci di spendere un capitale in fuochi pirotecnici, ma  non sono  nemmeno in grado di usarli, senza rischiare seriamente di lasciarci la buccia. Certo non è che il problema si possa risolvere a colpi di divieto, come si è tentato di fare in questi giorni in mezza italia, che poi mi chiedo: se c’è bisogno di vietare l’uso di fuochi d’artificio per strada l’ultimo dell’anno vuol dire, per caso, che in un giorno qualsiasi sono libero di piazzarmi in una piazza a lanciare ordigni, legali s’intende, senza essere fermato?

Probabilmente il 2012 sarà un anno difficile, senza entrare nel merito del discorso politica, tasse e crisi economica domani, molta gente, non avrà più un lavoro e non sarà stato per colpa loro e, detto fra noi, dubito anche ci sia da sperare troppo nella profezia dei Maya e nel giorno del giudizio, per come la vedo io gli antichi Maya avrebbero dovuto curare meglio l’aspetto della comunicazione, quindi penso che si possa già prenotare per il prossimo capodanno.

Chiudo, questo post, anche perché il nanerottolo in braccio non mi fa scrivere, con una nota di autoconpiacimento per il fatto di aver ottenuto, per il 2011, oltre 35.000 visitatori unici in questo blog e augurando a me stesso e a chiunque si trovi da queste parti, che i nostri desideri, qualunque essi siano, possano realizzarsi e se qualcuno si chiede che c’azzecca la foto sopra,… beh lo invito a rileggersi queste ultime righe. ;-)

Giornali,  TV ma anche romanzi e saggi tendono ad utilizzare come sinonimi  due termini, genericamente derivati dalla letteratura fantascientifica, parlo di “cyborg” e “androide” che oltre ad avere un significato diverso hanno  un differente impatto culturale e antropologico sull’immaginario collettivo.

 

Il cyborg è un organismo cibernetico derivante dalla fusione di elementi artificiali ad un organismo biologico. Il termine che deriva dalla contrazione delle parole cybernetic organism viene coniato in ambito medico, nel 1960, da Manfred E. Clynese Nathan S. Kline in merito ai loro studi sulla sostenibilità della vita umana in ambienti extra-terrestri grazie all’apporto di integrazioni cibernetiche per adattare il corpo umano alle nuove condizioni.

 

L’androide  è un essere artificiale con sembianze umane che può anche integrare elementi biologici esclusivamente finalizzati a renderlo più esteticamente simile all’essere umano (è il caso del Terminator T-800 che è ricoperto da un’epidermide con le stesse caratteristiche di quella umana, compreso l’odore, ma che nonostante questo NON è un cyborg) Il termine androide deriva dal greco ανδρός che significa “uomo” e pare sia in uso dal 1200. Del resto la stessa suggestione di organismi meccanici simili all’uomo può essere fatta risalire alle leggende ebraiche sui Golem.

 

L’idea della possibile esistenza di un organismo artificiale antropomorfo è in un certo senso vecchia come l’uomo. Un androide prima di tutto non è vivo, da un certo punto di vista non ha un’anima e questo lo rende un giocattolo, pericoloso, a volte distruttivo, ma che  rimane un oggetto per il quale è difficile provare dei sentimenti. Certo la fantascienza è piena di racconti su androidi talmente umanizzati da destare un moto di angoscia e un senso pietà, Asimov si è persino inventato la robopsicologia, ma in ultima istanza un robot è una creazione non una creatura, si può averne paura certo, si può soffrire del complesso di Frankenstein, ma non è difficile, non è “immorale” pensare di sterminare una macchina, un mostro animato ma senz’anima.

 

Il mostro non trovava un posto nella società umana e, nella sua disperazione, si rivoltava contro lo scienziato e coloro che gli erano cari. Uno a uno i parenti dello scienziato (inclusa sua moglie) vengono uccisi e alla fine anche lo scienziato muore. Il mostro si allontana verso l’ignoto, presumibilmente per morire nel rimorso. (Isaac Asimov nella prefazione a “Il Secondo Libro dei Robot”)

 

Nella storia di Mary Shelley viene raccontato il terrore del creatore di essere sopraffatto dalla sua creatura, certo il mostro era di carne e sangue non era un robot di plastica e metallo ma la sua ribellione è uguale a quella di Skynet e dei Terminator di James Cameron, la creatura migliore del creatore, il creatore geloso della creatura alla fine un conflitto e la selezione naturale che fa il resto. Se però la creatura rimane un essere antropologicamente “inferiore”, se pure con una buona dose di sciovinismo, la questione si complica quando la creatura è uno di noi, un cyborg, un post-umano. Oggi la tecnologia  si è imposta in campo medico sia con l’introduzione di protesi per la sostituzione di una componente fisiologica “guasta” che per un utilizzo meramente estetico. Organi artificiali, protesi bioniche, esoscheletri neurali la tecnologia evolve sempre più verso la possibilità di creare un vero e proprio cyborg, verso la possibilità di fondere carne e metallo in un organismo nuovo, “più forte, più veloce”. Fondere carne e metallo, questa stessa espressione restituisce il senso di angoscia di fronte al timore di una nuova specie di post-umani che non sono macchine, non sono creature, ma che sono esseri umani potenziati per essere migliori ma diversi, con tutte le implicazioni che questo essere “diversi” comporta.

 

La letteratura ha affrontato il tema dei cyborg con due diversi approcci. Negli anni ’70-’80  il miglioramento cibernetico dell’uomo non era mai ricercato ma era il risultato di un incidente o di un sacrificio per un bene supremo; negli anni ’80-’90 con l’avvento del filone cyberpunk la trasformazione del corpo, l’introduzione di appendici meccaniche nella carne nasceva dal tentativo di superamento della condizione umana, dall’anelare ad uno stato post-umano. Nel cyberpunk, tuttavia, raramente si trova, negli autori, un compiacimento per la condizione post-umana, anzi quasi sempre l’umanità è più decadente e mai il miglioramento fisico è andato di pari passo col miglioramento sociale. Oggi la condizione post-umana, in un certo filone “transumanista” è, in un certo senso, auspicata ed è usata come trampolino di lancio per innalzare la mente ad un livello spirituale più elevato; come a volersi liberare del problema della vecchiaia, della debolezza, della fragilità dell’essere umano per poter aspirare a trascendere la stessa umana condizione.

 

Le nostre case, intanto, sono piene di ammennicoli sempre più intelligenti, robot per cucinare, per pulire, per lavare, nessun androide, nessuna paura, non ancora, ma certo quando sento parlare di queste robe qui vengo assalito da un certo senso di inquietudine.

 

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Beh, nonostante il pessimismo che si respira in giro, Buone Feste

Se Mike Buongiorno avesse scelto la pista delle stelle al posto di una banale inumazione i famigliari non avrebbero dovuto rincorrere una bara trafugata dal cimitero per tutta la Lombardia, ma avrebbero potuto guardare il cielo, in una notte stellata, e intonare: -Allegriaaaa-

Dal Los Angeles Time arriva la notizia che lo stato americano della Virginia avrebbe in programma di introdurre delle misure volte a supportare l’impresa privata aerospaziale del Mid-Atlantic Regional Spaceport a Wallop Island, sulla costa della Virginia.

Il disegno di legge, in discussione presso l’Assemblea Generale, infatti, prevede una serie di sgravi fiscali da 2.500 dollari fino a  8.000 dollari per le sepolture spaziali, una misura che permetterà, secondo i proponenti, di portare maggiori entrate allo spazioporto che, dopo la sospensione del programma Space Shuttle, si trova a competere in un mercato aerospaziale liberalizzato.

Le prime sepolture nello spazio, che consistono nel mandare in orbita attorno alla Terra dei piccoli campioni delle spoglie cremate del defunto, è iniziata nel 1997.  Poi ci si lamenta delle buste di plastica lasciate nei boschi, meno male che ci sono quelli di PlanetES

Fra coloro che hanno tentato la strada del funerale spaziale devo ricordare il grandissimo James Doohan, lo Scotty di Star Trek, le cui ceneri sono state inviate nello spazio con due lanci, entrambi falliti, tanto da convincere, purtroppo, la famiglia a rinunciare all’insolito funerale.