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Questo 2012 ha segnato la svolta nella vendita di due gadget tecnologici, due device, simili nella forma, tanto da essere spesso confusi e che in modo diverso hanno cambiato e stanno cambiando le modalità di fruizione delle informazioni, mi riferisco ai tablet e agli ebook reader.

Il primo tablet commercializzato è stato nel 2010 l’iPad della Apple, un dispositivo in grado di connettersi ad internet e far girare applicazioni dedicate; il primo ebook reader, invece, è stato, il Kindle, lanciato da Amazon nel 2009 utilizzando la tecnologia e-ink [1].

In tutto ciò si inserisce Google con un nuovo sistema operativo pensato per i cellulari, Android, che in breve tempo si è diffuso ad ogni forma di apparato in mobilità (e non) e ha permesso la realizzazione e la diffusione di tablet ed ebook reader a costi contenuti, il risultato: alla fine del 2012 questi aggeggi sono presenti praticamente in tutte le case.

Esempio di squallida propaganda neo-luddista

Esempio di squallida propaganda neo-luddista

Cosa ha cambiato la diffusione di questi apparecchi?

Un tablet è un dispositivo multi-purpose in grado di permettere, mediante un accesso wireless, di essere sempre connessi ad internet e poter avere a disposizione social network, motori di ricerca, fonti di informazioni in tempo reale. Inoltre i tablet attuali sono sufficientemente potenti da far girare applicazioni ludiche e di produttività, in pratica consentono di giocare e di lavorare da remoto con un oggetto leggerissimo e portatile molto più di un notebook.

Un ebook-reader è un dispositivo progettato per un unico scopo: leggere libri e lo fa dannatamente bene. Lo schermo di un e-reader utilizza una tecnologia, denominata e-ink, che mediante campi elettrici fa ruotare microsfere polarizzate e colorate di bianco e nero in maniera tale da comporre, sullo schermo, i caratteri della pagina di un libro in maniera estremamente realistica.

E’ evidente che la diffusione di questi apparecchi, come di tutte le nuove tecnologie, non può non avere un profondo impatto sulle abitudini della gente, è sempre stato così. Prendiamo ad esempio il walkman negli anni ’80, tutti in giro con le cuffiette di spugna ad ascoltare musica, stessa scena che si ripete nei primi anni del 2000 con i primi iPod e gli auricolari senza parlare dell’enorme rivoluzione sulla vita di tutti i giorni che hanno portato i telefoni cellulari. Allo stesso modo, adesso,  è tutt’altro che  raro vedere gente in treno, in bus o in metropolitana smanettare sul tablet o leggere un libro sul e-reader.

Oggi, però, c’è l’acuirsi di un fenomeno, quello del neo-luddismo, che è sempre stato presente in ogni rivoluzione tecnologica ma che in questi anni è passato dall’essere semplicemente fastidioso a diventare, quasi, d’intralcio.

Il fenomeno del luddismo, a dire il vero, ha radici più economiche che sociali, o meglio nasce e si diffonde quando una classe sociale teme di perdere i privilegi economici, derivanti dal proprio status, ad opera delle tecnologia; non per niente lo troviamo in Inghilterra alla fine del 1700, in piena rivoluzione industriale, quando le macchine erano considerate la causa della disoccupazione e dei bassi salari ma sopratutto andavano ad infrangere tutta una serie di monopoli.

Sulle astronavi non c'è molto spazio per le librerie

Sulle astronavi non c’è molto spazio per le librerie

Questo è il motivo per cui ci sono innovazioni tecnologiche che stimolano di più la componente luddista della società. Se l’introduzione della musicassetta e del walkman, che andavano a sostituire il vecchio mangiadischi, non avevano portato a nessuna reale resistenza, in quanto sostanzialmente innocui, con la nascita del CD (duplicabile) si è cominciato a sentire cazzate del tipo che il suono del vinile è ineguagliabile, con la compressione degli MP3 poi… OK, ma io quando la musica si poteva ascoltare solo su vinile c’ero e fra fruscii, testine che saltavano, scratch e quant’altro, francamente preferisco un Mp3 a 64kbps. Adesso tocca al libro, sì perché le stesse cazzate sul romanticismo dei fruscii del vinile oggi le sentiamo sulla puzza di muffa sull’odore della carta. Ma volete mettere la sensazione tattile dello sfogliare delle pagine al meccanico ticchettio di un pulsante sul Kindle…

In realtà il libro elettronico fa paura. Fa paura alle case editrici per il solito motivo legato alla pirateria, sì perché non c’è nulla che l’editore possa fare per evitare che il proprio ebook possa essere facilmente duplicato in infinite copie e in maniera illegale, nulla tranne venderlo ad un prezzo equo. Che mi frega di andarmi a scaricare un libro pirata se l’originale lo trovo a 1,99? Poi ci saranno anche quelli che il libro lo scaricheranno comunque, ma in ogni caso non l’avrebbero comprato. In Italia, ovviamente, gli e-book si trovano a 8,99 e anche di più, un abominio. Ma l’ebook fa paura anche agli scrittori, quelli che hanno dovuto pagare per essere pubblicati dalle case editrici, quelli che hanno dovuto vedersi i propri libri riscritti per vederli pubblicati, quelli che sono semplicemente raccomandati, quelli che hanno approcciato la letteratura partendo da un campo differente. Tutta questa gente ha paura di venire soppiantata da scrittori indipendenti o legati a micro-case editrici che si autopubblicano non dovendo sopportare i costi di stampa e distribuzione.

In questo 2012 si è assistito a più di un attacco da parte di questi personaggi al libro elettronico, ridicoli anatemi basati su stravaganti concetti ambientalistici, inesistenti basi tecnologiche e noiose menate neo-romantiche. Nessuno che si renda conto di essere ridicolo al punto di mettere al primo posto il contenitore rispetto al contenuto, probabilmente perché loro di contenuti ne hanno pochini.

La carta usata, la nuova frontiera delle droghe

La carta usata, la nuova frontiera delle droghe

Ma falsi-scrittori ed editori si possono comprendere, ne hanno un tornaconto economico, quelli che invece mi danno maggiormente fastidio sono coloro che neo-luddisti lo sono gratuitamente. Una manica di fessi radical-chic che i libri li comprano scegliendoli dalla top ten in edizione rilegata ed esclusivamente per farne un feticcio da mettere nella libreria del soggiorno. Gente che legge 5 libri l’anno, di cui tre sotto l’ombrellone e scegliendoli fra le perle di Fabio Volo e le Cinque Sfumature di qualche cosa. Fatevelo dire siete delle teste di cazzo e lo siete a maggior ragione quando il vostro messaggio neo-luddista volete lanciarlo utilizzando i social network, siete gli stessi pseudo-ambientalisti della domenica, che pensano che la raccolta differenziata e l’abolizione delle buste di plastica risolveranno tutti i mali,  gli stessi stolti che hanno bisogno di una battaglia da poter condividere su Facebook. Siete inutili, anti-storici, superati e ignoranti, ignoranti nel senso più ampio del termine, eh, perché forse, non ve ne siete accorti, mentre vi dedicate ai vostri girotondi virtuali sui social network condividendo la foto della Foca Monaca in via di estinzione il resto del mondo va avanti senza di voi e negli Stati Uniti si stima che l’anno prossimo verranno venduti libri elettronici per il 45% del totale, capite 45% e l’ebook reader è stato inventato solo cinque anni fa, forse perché chi i libri li compra trova l’innovazione migliore del vostro pseudo romanticismo?

 

 

[1] Non rompetemi il cazzo dicendo che il primo tablet è stato inventato nel millenovecentosettantaequalcosa da un monaco boemo a cui il piccolo Steve ha rubato il progetto

Riprendo un articolo di Alessandro Girola per parlare di un altro male che affligge il nostro paese il neo-luddismo italico. 

Siamo il paese dove la diffusione dei cellulari e smartphone assume percentuali imbarazzanti, dove si riesce a vendere un iPhone ai prezzi più alti del pianeta eppure ogni tanto si sente dire, dall’alto del concentrato di tecnologia che ognuno si porta in tasca: – eh, si stava meglio quando si stava peggio – ricordando la nostalgia di quei pomeriggi passati in strada a giocare a pallone dopo aver fatto i compiti.  – Da quando c’è internet i ragazzi non si relazionano più fra loro, diventano asociali e passano tutto il tempo con la testa dentro al monitor – che poi è la stessa cosa, aggiornata agli anni ’10 del ventunesimo secolo, che dicevano negli anni ’80 del ventesimo riguardo la televisione. – Eh, questi ragazzi, invece di giocare stanno tutto il tempo li a scimunire dietro ai cartoni animati giapponesi

Beh io che ero asociale, nel senso che non ho mai socializzato con i cretini, negli anni ’80-’90, quando ancora non c’era internet, prendevo la bici e me ne andavo in campagna a leggere un libro ma passavo anche i pomeriggi a guardare la TV e a cazzeggiare al computer e, francamente, se vedo mio figlio che dopo aver giocato al parco decide di buttarsi su un prato a giocare col Nintendo non mi scandalizzo più di tanto.

Potrei scrivere un trattato sul perché il progresso è meglio di un calcio nelle palle ma è inutile approfondire più di tanto la questione quando c’è gente che si porta addosso la tecnologia risultato di anni di ricerca spaziale e mi viene a dire, con quella certezza che non può che essere figlia dell’ignoranza, che l’uomo non è mai andato sulla Luna.

Preferisco quindi pensare a quelle che sono le rivoluzioni tecnologiche che hanno cambiato la mia vita e quella del’umanità negli ultimi venti anni (il personal computer, il telefono cellulare, lo smartphone, la fotocamera digitale, il navigatore satellitare, il climatizzatore, il tablet, gli e-reader…) e poi rimangiarmi tutto quello che ho detto! (beh quasi, dai…)

Eh sì, perché non sempre la tecnologia ti aiuta davvero. Nel 1971 la Gillette brevettò il primo rasoio bilama usa e getta, che poi sono diventate, tre, quattro fino a raggiungere  le sei lame accompagante dalle necessarie strisce idratanti per poter far scorrere il rasoio, dei recenti aggeggi venduti nei centri commerciali. Ogni nuovo modello di rasoio sembra sempre migliore rispetto al precedente, anche quando lo provi, eppure… sarà che io sono pigro e la barba la faccio ogni settimana, quando va bene, sarà che ho una barba molto folta, ma con l’ultimo modello di rasoio che ho comprato, per farmi la barba, ci sono volute due testine da 2 euro l’una, facevo prima e meglio ad andare dal barbiere :-)

Così ho deciso di tornare all’antico e mi sono comprato un rasoio di sicurezza, quello brevettato dalla Gillette verso la fine del 1800,  con le lame usa e getta in acciaio inox e… miracolo riesco a farmi la barba perfettamente in minor tempo e con una spesa effettiva di 5 centesimi! Già da tempo avevo abbandonato la schiuma da barba in bomboletta che più che idratare mi sporcava la camicia in favore del vecchio sapone da barba e pennello… beh ora posso davvero dire un altro mondo.

Non parliamo, poi, dei rasoi elettrici… che è meglio!

 

Sì lo so che ho alcuni metri lineari di libri da leggere impilati ovunque e sì, anche il Kindle, si sta riempiendo, ma in questi giorni mi sono riletto “La Tuta Spaziale” (Have Space Suit — Will Travel) romanzo per ragazzi scritto nel 1958 da Robert A. Heinlein. Avevo letto La Tuta Spaziale più o meno a 13-14 anni, è stato uno dei miei primi romanzi di fantascienza; ritrovai il libro spiegazzato e polveroso, nella soffitta di mio nonno, Arcangelo, vecchio appassionato di science fiction e noir e lo lessi in un pomeriggio.

Il romanzo di Heinlein racconta la storia di Kip, un ragazzo che ha deciso con tutte le sue forze di andare sulla Luna, ormai colonizzata, e per farlo è disposto a tutto, arruolarsi nelle forze spaziali, diventare ingegnere o medico ma anche… spedire migliaia e migliaia di slogan per partecipare al concorso indetto da una ditta di saponette che ha, come primo premio, proprio un viaggio andata e ritorno sulla Luna.

Kip non vincerà il concorso, pure se il suo è lo slogan selezionato altri avevano inviato la stessa frase prima di lui (ricordatevelo quando vi dicono che fa fede il timbro postale); se pure non può aspirare alla Luna, tuttavia, Kip vince un premio di consolazione: una vera tuta spaziale utilizzata durante la costruzione degli habitat sul nostro satellite che gli viene recapitata a casa fra squilli di trombe e rulli di tamburo.

Certo io una tuta spaziale la terrei in salotto, ma Kip ha  bisogno di soldi per l’università e decide di darla via in cambio di danaro, non prima , però, di averla rimessa in sesto, equipaggiata, rifornita e sopratutto provata. Da qui iniziano le avventure di Kip che lo porteranno da un negozio di frullati in un’oscura provincia americana ad essere rapito dagli alieni e imprigionato su un’astronave insieme a Peewee una ragazzina terrestre coraggiosa e intelligente quanto rompiscatole.  In breve tempo Kip non solo raggiungerà la Luna ma vivrà la più grande avventura che un uomo possa desiderare raggiungendo la Nebulosa Magellanica Minore, sconfiggendo mostri alieni incredibili e terrificanti, incontrando sagge creature millenarie  e contribuendo a salvare l’umanità… il tutto grazie all’aiuto di Oscar, la sua tuta spaziale.

Questo romanzo, nonostante sia un prodotto per adolescenti, rimane fra i migliori della produzione di Heinlein, ma a me, all’epoca, colpì per un altro motivo: la tuta spaziale.

Una tuta spaziale, anche quella descritta da Heinlein nel ’58, è un vero e proprio habitat in miniatura progettato per preservare, accudire e, perché no, coccolare il suo abitante: era proprio quello che mi ci voleva in quel periodo. Facevo brutti sogni e la notte non era proprio amichevole, credo capiti a tutti i ragazzini, dopo quella lettura cominciai ad addormentarmi immaginando di essere in una tuta spaziale, protetto, indistruttibile e pronto per avventure incredibili.

La tuta spaziale fa presto, nella fervida fantasia di un adolescente, a trasformarsi in una potente e invincibile armatura  e sarà forse per questo che ho sempre adorato  anime e film a tema. Visto che ci sono, dunque, è il caso di fare un piccolo riepilogo delle armature, tute ed esoscheletri che hanno accompagnato la mia adolescenza.

5) Saint Seiya – I Cavalieri dello Zodiaco

Le armature di bronzo dei cavalieri di Athena mi hanno sempre affascinato ma hanno il problema di essere, in un certo senso, magiche. Non c’è un reale motivo per cui quei pezzi di latta possano proteggere il corpo dei propri occupanti di cui lasciavano scoperto un buon 60%. In questo senso preferivo le armature dei “cavalieri d’acciaio” comparsi nei primi episodi della prima serie; tre sfigati al soldo della solita Lady Isabel che indossavano però delle avveniristiche armature tecnologiche.

4) Hurricane Polymar

Anche questa non è una vera e propria armatura.  Takeshi indossava una specie di casco da motociclista che aveva al suo interno un sistema tecnologico in grado di liberare il polyment , un particolare polimero che ne riveste il corpo rendendolo indistruttibile e trasformandolo in Polymar. Nemmeno questa è una vera armatura, per quanto indistruttibile e nonostante le capacità di trasformare il corpo di Takeshi in aereo o carro armato.

3) I Centurion

Quanti di voi si ricordano di questa serie animata andata in onda negli anni ’80 su Odeon TV? Sì, immagino che molti di voi non sappiano nemmeno cosa sia Odeon TV. Comunque I Centurion erano Max Ray , per le operazioni marine, Jake Rockwell, per le operazioni terrestri ed Ace McCloud per le operazioni aero-spaziali. I tre Centurions indossavano una suite da combattimento, Exo-Frames, in grado di teletrasportarli sul luogo delle operazioni. Gli Exo-Frames sono anche degli esoscheletri in grado di moltiplicare la forza e l’agilità umana e sono fatti in modo da adattarsi a vari sistemi d’arma che rendono i Centurions delle vere e proprie macchine da guerra.

2) Gordian

Gordian è  il super robot matrioska degli anni ’80 che nasce dalla combinazione  di tre macchine  Protesser, Deringer e Garbin ed è pilotato da Daigo, che entra all’interno di Protesser, il mecha più piccolo, che gli si adatta perfettamente come un’armatura da combattimento. A sua volta Protesser entra in Derringer e così in Garbin a formare Gordian. Già stare dentro Protesser comincia ad avvicinarsi alla mia idea di protezione da Tuta Spaziale, tuttavia non ci siamo ancora, dal momento che Protesser non è una vera armatura ma un mecha pilotato da Daigo con un collegamento telepatico e comunque raramente nella serie lo si vede combattere al di fuori degli alti due mecha.

1) Iron Man

Beh, Iron Man  spiega esattamente cosa io intendo per armatura protettiva.  Iron Man è uno dei più noti personaggi della Marvel Comics: la sua vera identità è quella di Tony Stark, magnate dell’industria bellica che progetta un’armatura composta da casco ( che contiene gps, radio, video comunicatore, comunicatore satellitare, raggi x ed infrarossi, computer, database, scanner), guanti (con raggi repulsori, raggi laser, mitragliatrici laser, emettitori di scudi), stivali( con razzi propulsori, missili, emettitori impulsi magnetici, lanciafiamme), busto (con  creatore di ologrammi, generatore di scudi e campi di forza, torcia, raggio di calore, raggio congelante, raggio paralizzante, laser, EMP), schiena (con eliche di emergenza, propulsori, lancia-missili, aero-freni, emettitore EMP e di scudi). L’armatura di Iron Man è in costante aggiornamento e negli anni ha anche cambiato varie volte colore fino a raggiungere l’attuale rosso e oro.

Fuori concorso ci sarebbe l‘armatura finale la più potente di tutte: Tekkaman

Tekkaman è un’armatura che si fonde con il suo ospite attraverso una camera di trasformazione all’interno del robot Pegas che, al pari di un’avveneristica vergine di Norimberga, tortura il povero George trasformandolo in Tekkaman, ricoprendolo di una corazza indistruttibile, aumentandone la densità e dotandolo e di armi micidiali. Il problema è che un uomo può sopravvivere come  Tekkaman solo per 37 minuti e 33 secondi. Tutto ciò rende l’armatura non sufficientemente amichevole da trascinarmi felicemente nel mondo dei sogni.

Beh detto questo concludo con un interrogativo che ha il sapore di una speranza: chissà se fra qualche anno i miei figli decideranno di leggere “La Tuta Spaziale”, un romanzo scritto nel 1958.

Esattamente un anno fa, l’11 marzo 2011 alle ore 14:45 (ora locale), al largo della costa della regione del Tōhoku, in Giappone, alla profondità di 30km si verificava un terremoto del nono grado della scala Ritcher seguito da uno tsunami che  ha devastato le coste con onde alte oltre 10 metri, che hanno raggiunto una velocità di circa 750  km/h e si sono abbattute principalmente sulla  prefettura di Iwate e sulla prefettura di Miyagi.

Ad oggi non è ancora disponibile un bilancio definitivo delle vittime di quello che è stato il sisma più imponente abbattutosi sul Giappone; si parla comunque di oltre 15.000 morti accertati e di quasi 5.000 dispersi.

Il sisma ha provocato lo spegnimento automatico di undici centrali nucleari, tuttavia le misure di sicurezza non sono state sufficienti per evitare il disastro nucleare  per la centrale Fukushima Dai-ichi dove i reattori in funzione si sono disattivati automaticamente dopo la scossa, ma i danni ai sistemi di raffreddamento hanno causato un surriscaldamento incontrollato e la fusione delle barre di combustibile prima nel reattore 1 e successivamente al reattore 3. Grossi problemi hanno interessato, nei giorni successivi, anche il reattore 2 e il reattore 4. La successiva evacuazione ha interessato 110.000 persone nel raggio di 30 chilometri dall’impianto.

Ad un anno dal disastro,  la situazione dei reattori è sotto controllo e le autorità nipponiche assicurano che il livello di radiazioni è totalmente nella norma. Le restrizioni alle importazioni di prodotti alimentari giapponesi, adottate dopo l’incidente di Fukushima, sono state abolite in alcuni paesi,  permane, tuttavia, una zona off-limits di 20 km per la popolazione civile.

L’emergenza che il Giappone si è trovato ad affrontare è stata di proporzioni inimmaginabili; 470mila persone furono evacuate in centri temporanei e ad oggi solo 687 persone risultano ancora in quei centri (ricordo che c’è ancora chi vive nei container dopo il terremoto in Irpinia nel 1980). Oggi nonostante la ricostruzione delle infrastrutture non sia ancora ultimata e il paese abbia un grosso problema energetico a causa della chiusura, successiva al disastro di Fukushima, di alcune centrali nucleari, quasi tutte le macerie e i detriti trasportati dallo tsunami sono stati rimossi e l’FMI prevede un incremento del PIL per il paese del Sol Levante del 1,7%.

Anche sul fronte energetico, comunque, qualcosa si sta muovendo. Dopo lo stop al nucleare voluto dal precedente Primo Ministro Naoto Kan, sull’onda emotiva che ha portato anche in Italia alla vittoria dei SI all’insulso referendum di giugno 2011, il nuovo primo ministro, Yoshihiko Noda, sta decisamente rivalutando la questione anche considerando che il Giappone trae il 30% dei suoi consumi energetici proprio dall’atomo.

Chiudo, dunque, ricordando questo primo triste anniversario, nella speranza che già fra un anno l’11 marzo 2011 sia un lontano ricordo.

 

Da ieri sulla Terra siamo in sette miliardi! Ora le Filippine e l’India si stanno contendendo la paternità del settemiliardesimo nato, resta il fatto che siamo sei miliardi di individui di troppo.

Quando sento l’allarme per la crescita demografica zero in italia mi viene sempre da sorridere, che sia una dei pochi segnali d’intelligenza dell’italico popolo? Il fatto è che l’essere umano, in maniera, in un certo senso, artificiale, si trova all’apice della catena alimentare e questo è un problema: l’uomo non ha predatori e si può riprodurre in maniera indiscriminata. Questo vantaggio, purtroppo, doveva essere riservato ad una specie animale “intelligente” quale non si è dimostrata quella umana.

Il pianeta Terra, semplicemente, non ha le risorse sufficienti a sostenere nemmeno un quinto della popolazione mondiale con un tenore di vita simile a quello occidentale, certo possiamo pensare di modificare radicalmente tutti i modelli di produzione e consumo cercando di utilizzare la tecnologia per compensare il divario con l’attuale sistema produttivo; resta il fatto che siamo troppi e che, con tutti gli accorgimenti che possiamo escogitare, se dovessimo distribuire equamente le risorse non solo  saremmo tutti ben sotto la soglia di povertà (secondo le attuali definizioni) ma in pochi decenni consumeremmo le risorse energetiche e ambientali del pianeta (per conferma basta darsi una scorsa al Living Planet Report del WWF). Allarmismo il mio? No, mica sto dicendo che il mondo finirà domani, sto solo dando una giustificazione per il divario fra i paesi occidentali e quelli del terzo e del quarto mondo. E’ ovvio prima o poi le genti affamate si incazzeranno(come successo in Africa quest’anno) e prima o poi le cose dovranno seguire una rotta diversa (e l’attuale crisi economica è un sintomo di quello che avverrà) resta il fatto che l'”intelligenza”, quella caratteristica che ha portato l’uomo all’apice della catena alimentare non è stata sufficiente per imporgli una certa cautela demografica e questo finiremo per pagarlo democraticamente tutti in un modo o nell’altro.