Una piccola riflessione sulla democrazia diretta ascoltando De Andrè. La democrazia rappresentativa, quella sostanzialmente in voga nella gran parte dei paesi occidentali  come forma di governo della cosa pubblica, non mi ha mai entusiasmato, non ne ho mai fatto mistero, la considero iniqua, troppo facilmente controllabile e, dal punto di vista darwinistico, troppo livellante delle opportunità evoluzionistiche, ma di queste cose ho già parlato e del resto non sono mai riuscito ad immaginare un sistema migliore, almeno non ci sono riuscito senza scrivere un racconto di hard science fiction di dubbia qualità. Ultimamente in italia si sta facendo sempre più strada l’idea di poter utilizzare, per governare, una qualche forma di democrazia diretta, il proliferare di referendum a cui mai nessuno va a votare, perché incomprensibili, ne è un sintomo. Ma cos’è la democrazia diretta? In breve si tratta di una forma di governo in cui la partecipazione alla cosa pubblica non è delegata a rappresentanti, ma qualunque cittadino è “invitato” ad assumersi l’onere di legiferare e governare attraverso istituti di consultazione popolare come i referendum o mediante assemblee. Ad Atene, ad esempio, funzionava più o meno così, c’erano assemblee a cui tutti gli ateniesi potevano partecipare e avevano diritto di voto e in cui il presidente era scelto a caso. Un bel casino, converrete, non per niente questo è l’unico strumento sostenuto da alcuni anarchici, utopistico quanto basta e pensato apposta per complicare le cose semplici. Eppure oggi gli strumenti telematici potrebbero consentire di immaginare una qualche forma di democrazia diretta e, difatti, è già stata battezzata con l’orrendo neologismo di e-democracy. Sono convinto, tuttavia, che probabilmente una forma di governo “diretto” sarebbe controproducente se non addirittura dannoso. E’ oramai innegabile che le motivazioni per le quali sia, sempre più spesso, invocata la democrazia diretta derivano dal fatto che, in particolare in italia, i rappresentanti del popolo si sono trasformati in una sorta di nuova aristocrazia e da sempre la borghesia e il proletariato, (consentitemi questi termini desueti e rimembranze di una lotta di classe vecchie di centinaia di anni eppure ancora attuali) nutrono invidia nei confronti della classe privilegiata. Un esempio su tutti, ad avvalorare la mia tesi, è che ogni volta che c’è un problema in questo paese si invoca, fra le soluzioni, quella di ridurre gli stipendi dei parlamentari, come se questo, fra gli sprechi, non fosse l’ultimo in ordine di importanza economica. L’invidia dunque è quello che muove gli stupidi e li spinge a voler partecipare direttamente alla vita politica senza doverne pagare il fio e senza avere la minima idea di cosa fare ma avendo ben chiaro in testa cosa distruggere. La stessa invidia che ha fatto rotolare nel cesto la testa di  Maria Antonietta, la stessa invidia che renderebbe vana ogni forma di democrazia diretta. Il bene della nazione non è gettare fango sull’operato degli altri quando non si ha la minima idea di come fare a migliorare le cose pur improvvisandosi allenatori  della nazionale ma sarebbe cercare di utilizzare le proprie risorse in modo consapevole; tutto ciò a partire dal voto, quel gesto, quel diritto, quel dovere alla base della democrazia rappresentativa troppo spesso elargito con superficialità, corrotto da campagne mediatiche e , a volte, persino, oggetto di copravendita per un prezzo quasi sempre ridicolo. Certo, forse, il suffragio universale è fin troppo universale ma, maledizione, è davvero ora di darsi una svegliata, altro che e-democracy e altre minchiate in stile 2.0.

4 commenti
  1. Litoralaltro
    Litoralaltro dice:

    Io ho iniziato a fare un paio di conferenza nella mia città ed in autunno partiamo con una iniziativa di delibera popolare per chiedere piu’ democrazia!

    Perchè la democrazia diretta non si insegna, si fa!

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