Niente petrolio o fissione nucleare, niente ingombranti pannelli solari o brutte pale eoliche, la soluzione dei problemi energetici si chiama elio-3, un combustibile indispensabile nelle centrali elettriche a fusione di nuova generazione. L’elio-3 è raro sulla Terra ma è presente, in grandi quantità, sul lato oscuro della Luna ed è proprio qui che la Lunar Industries ha costruito una base lunare per supervisionare la raccolta del prezioso isotopo da inviare sulla Terra.
La base lunare è abitata da un unico umano, Sam Bell, con un contratto triennale con la Lunar. Nel suo compito di supervisore, Sam, che non può comunicare direttamente con la Terra, per via di un'”avaria” al satellite di trasmissione, è aiutato da GERTY, il computer che controlla la stazione e che interagisce con Sam mediante alcuni alter-ego robotici che circolano nella base e che sono anche in grado di utilizzare dei complessi manipolatori.

Arrivato alla scadenza del suo contratto triennale, però, Sam comincia a sentirsi debole e a soffrire di allucinazioni, il  suo stato “alterato”, lo porterà a commettere errori fino ad un grave incidente col suo rover occorsogli mentre si dirigeva verso uno dei raccoglitori. Dopo l’incidente Sam si risveglierà nell’infermeria della base in preda ad una lieve amnesia ed è da qui che ha inizio  la storia ; è da qui che il povero Sam comincia a capire che la sua vita, il suo contratto, il suo universo è in realtà solo una squallida messa in scena.

Non andrò oltre con la storia per non rovinare la sorpresa a chi il film non l’avesse visto, non posso fare a meno di dire, tuttavia, che Moon è una delle più belle pellicole di Scence Fiction degli ultimi anni. Nessun badget stratosferico, effetti speciali ridotti all’osso con un ritorno ai classici modellini, cast composto da un solo attore ma una storia solida e che fa riflettere. Un film con un forte sapore anni ’70, con tanti riferimenti ai romanzi di Clarke e alle pellicole della classic Science Fiction, come 2001 Odissea nello Spazio o Alien; unico neo, forse il film è un po’ lento, sopratutto sul finale, ma questo potrebbe anche essere un pregio.

Il lavoro fatto dal regista Duncan Jones (figlio del più noto David Bowie) nel suo primo lungometraggio, realizzato nel 2009, merita davvero di essere visto; mi spiace solo di aver rimandato la visione di questo piccolo capolavoro per vedere quella vaccata dell’ultima stagione e mezza di Babylon 5.

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