Le parole sono importanti, le parole si possono scrivere e si possono pronunciare, le parole possono essere affilate come pugnali, morbide e dolci come Nutella, diaboliche e infide come un politico della “prima repubblica”. Non bisogna avere paura delle parole; bisogna imparare a conoscerle, ad usarle,  conoscere le parole fa la differenza fra chi rientra nel pensiero mainstream e chi ne sta fuori solo perché il proprio pensiero non è in grado di esprimerlo, per poter essere liberi bisogna conoscere le parole.

Una parola può voler dire tante cose anche a seconda del tono in cui viene pronunciata, anche nel modo in cui viene scritta, basta una virgola, la scelta della posizione nella frase a cambiare del tutto il contenuto informativo della comunicazione pur lasciandone identico il significato.

La gente, in generale ha paura delle parole; paura dovuta al rispetto per chi le parole le conosce e paura dovuta al timore di non sapere come usarle. Da queste paure nascono le storpiature, le K messe alla kazzo di kane, le abbreviazioni da Short Message Service (SMS), i beep e gli asterischi a coprirne le vergogne come  una foglia di fico aggiunte ad un quadro rinascimentale o un perizoma per coprire il culo di una bella donna.

Quando si ha  paura delle parole, poi, si comincia a girarci intorno e nascono locuzioni ridicole come “uomo di colore”  per indicare un negro, come se negro fosse dispregiativo o “uomo di colore” avesse un significato o ancora “diversamente abile” per indicare un handicappato.Sulle locuzioni negative utilizzate dai “diversamente intelligenti” per fare affermazioni rimanendo nel politicamente corretto ci sarebbe, in realtà, da scrivere un trattato.

E’ interessante, tuttavia, osservare che lo stesso utilizzo improprio delle parole ha di per sé un significato. Questa considerazione, in particolare, nasce da una delle tante puttanate che girano su Facebook: la foto di un bel bimbo negro che fa il bagnetto e  una frase “questa è da 3 ore che mi strofina…ma l’avrà capito che sono un bimbo di colore“, frase che nelle intenzioni dovrebbe essere contro ogni forma di razzismo ma che denota un’atteggiamento discriminatorio così radicato da farmi accapponare la pelle molto più violentemente che se si fosse trattato di un video con le simpatiche gesta del Ku  Klux Klan.

Sulle parole Francesco Guccini ha scritto, una decina di anni fa, uno dei suoi pezzi più belli: