Piccola riflessione sull’amore quasi come una risposta a chi l’amore tiene e chi l’amore sa. Ma facciamo a intenderci che cos’è l’amore?

Sì lo so, lo state pensando anche voi, una prima risposta non può che darcela, beh quasi, il celebre brano  di Vinicio Capossela, quando sul finale, in un certo senso sintetizza:

Che cos’è l’amor?
È quello che rimane
Da spartirsi e litigarsi nel setaccio
Della penultima ora
Sì perché l’amore, in fondo, è quello che rimane quando, tuo malgrado, ti trovi ricacciato nella dannazione degli inferi di un bar, ma tutto sommato non sei ancora alla fine e il più delle volte, già lo sai,  che non sarà l’ultima volta che starai lì a guardare il fondo di un bicchiere. In un certo senso possiamo dire che l’amore è una delle principali cause dell’alcolismo, del resto una scusa per bere uno deve pure avercela, no?
 
Ma proviamo un approccio diverso. Noi qui siamo obnubulati da questo amore come forza pervasiva che è preesistente nell’universo, ma chi ha inventato l’amore? Beh non c’è una risposta facile a questa domanda ma, più o meno, storici e antropologi vedono l’amore romantico, quello che mette in secondo piano l’istinto sessuale, come una caratteristica della cultura occidentale, addirittura si dice che il «culto» dell’amore romantico non si sarebbe sviluppato prima della rivoluzione industriale, quando il passaggio da una cultura rurale ad una industriale, con la nascita del sottoproletariato ha portato alla perdita di importanza dei contratti matrimoniali. Con questi cambiamenti comincia ad assumere invece rilevanza la cultura delle donne che cominciano a rivolgersi al romanzo e ai racconti come fonte del sentimento, non a caso Stendhal ci tiene a farci sapere che «A Parigi l’amore è figlio del romanzo» e ce lo racconta ancora una volta Capossela quando dice
Che cos’è l’amor
Chiedilo alla porta
Alla guardarobiera nera
E al suo romanzo rosa
Che sfoglia senza posa

Ora non ho voglia qui di buttare giù un trattato antropologico sull’amore, anche perché tanti l’hanno fatto meglio di me anzi vi consiglio proprio Antropologia dell’Amore di Dino Burtini

L’amore è una chiave perfetta per cogliere i dati fondamentali di una cultura, perché esso interessa la sfera più profonda della personalità umana. Il lavoro è una descrizione attenta e intrigante dei comportamenti umani relativi alla vasta sfera dei modi di agire, individuali e sociali, legati all’amore (le feste della pubertà, i rituali dell’unione, il corteggiamento, l’adulterio, la sessualità, l’eros), sentimento che coinvolge sempre e inevitabilmente l’intera complessità dell’individuo, dal piano biologico a quello psichico, a quello intellettuale, a quello etico. 

Bene ora che abbiamo visto più o meno che cos’è, proviamo a chiederci a cosa serve l’amore?

In qualche modo ce lo spiegano, ognuno dal suo punto di vista,  Edith Piaf e Theo Sarapo in questo splendido video. 

Ma la conclusione forse è un po’ troppo romantica, diciamo così,  del resto, ammettiamolo, la domanda è stupida. Stupida perché  la risposta non potrà che essere soggettiva e limitata;  ragionare su ciò che viviamo attraverso l’amore infatti è assurdo, l’amore rende tutto idilliaco, meraviglioso, eterno, di un’eternità che generalmente dura poco anche se resta per sempre. Tutto ciò, a meno che non vogliamo trovarne un significato antropologico intriso di cinismo, ma ancora una volta vi rimando alla letteratura.

Dunque quest’amore perché?  Da quello che abbiamo detto fin’ora, tutti, prima o poi, proviamo questo sentimento a volte totalizzante, un sentimento ci fa stare il più delle volte bene, anche quando fa male e ci dona quella superiorità morale che ci fa sentire mezzo metro sopra tutti gli altri, perché non esiste, non è mai esistito, non esisterà mai un amore come il nostro. Quindi la domanda giusta è perché no ma sopratutto perché una volta sola? Ancora una volta ci viene in aiuto Capossela

che cos’è l’amor
è un sasso nella scarpa
che punge il passo lento di bolero
con l’amazzone straniera
stringere per finta
un’estranea cavaliera
è il rito di ogni sera
perso al caldo del pois di san soucì

L’amore è il più gran malinteso fra le persone. Si può amare una donna, un uomo, un sorriso, uno sguardo, un vezzo, una frase detta per sbaglio, quella sensazione di attrazione è così totalizzante che non possiamo farne a meno, al punto che non si è mai appagati, al punto che cercheremo sempre l’amore per tutta la vita, specialmente dopo aver trovato quello eterno.

E allora vi chiederete, e tu? Io sono come tutti gli altri, cerco il filo di un ricamo un accordo in la minore per gridare forte t’amo / se ho degli attimi di rancore cerco te e la tua bocca nei tuoi occhi trovo amore

 

 

In questi giorni Amazon annuncia un nuovo servizio compreso nell’abbonamento Prime; Prime Music che offre la possibilità di ascoltare in streaming e scaricare  fino a 40 ore di musica al mese a scelta fra due milioni di brani.

Il servizio si aggiunge alla consegna gratuita degli acquisti effettuati sulla piattaforma, alla possibilità di caricare nel cloud Amazon un numero illimitato di fotografie, a Prime Video, un vero e proprio canale televisivo on demand in streaming che oltre ad alcune delle migliori serie televisive e a grandi pellicole cinematografiche offre delle grandiose produzioni originali e a Prime Reading che offre l’accesso a un ottimo catalogo di ebook; tutto questo a 35 euro l’anno.

Eppure c’è chi si lamenta perché Amazon è il male, sottopaga i dipendenti, fa chiudere la Grande Distribuzione Organizzata (che fino a ieri era il nemico da abbattere) e non permette la socializzazione ed è su questo che vorrei soffermarmi.

Vuoi mettere andare al negozio a parlare col commesso, andare al supermercato a chiacchierare con la cassiera maschio, toccare la merce (che fastidio quelli che toccano la merce che io potrei comprare, specie l’ortofrutta), provare i vestiti, aprire i cartoni per vedere cosa c’è dentro, chiedere informazioni al tizio sottopagato che ieri vendeva contratti di Linkem e oggi ti spiega come funziona l’aspirapolvere non capendo nulla dell’uno e dell’altro.

E’ vero io sono asociale, oggi ho lavorato molto, non voglio parlare con nessuno, non ne ho la forza e adesso sono qui in terrazza che ascolto Guccini(con Spotify), bevo Martini e Tonica e scribacchio qui e lì. Abito in questa casa dal  2005 e non conosco, nemmeno di nome, alcuno dei  miei vicini, gli amici me li scelgo e spesso vivono troppo lontano per poterli frequentare, i parenti a stento li saluto se casualmente li incrocio per strada, perché dovrei voler parlare con uno sconosciuto in un ipermercato? Perché dovrei avere voglia di interagire con chiunque non provi un’attrazione di qualche tipo? Come? Sì, è vero se non li incontro non potrò mai sapere se c’è feeling, ma è una questione statistica e sono fortunato. Sono fortunato perché oggi esiste Internet.

Su Internet ho incontrato le persone migliori con cui potessi interfacciarmi(*). Alcuni vicini, vicinissimi, altri lontani, lontanissimi, alcuni lì ho incontrati, altri no, non cambia molto in realtà, raramente ne ho sentito la necessità; per molti versi anche mia moglie l’ho conosciuta davvero su internet(**) e ci ho fatto pure un paio di figli…  Internet è quella cosa che oggi mi consente di osservare la stupidità da una posizione privilegiata e mi offre l’incredibile beneficio di non dovermi misurare fisicamente con la mediocrità, almeno non più di quanto la vita renda necessario.

Ben venga, dunque, Amazon se non devo parlare col commesso ritardato e se non devo aspettare tre mesi per prenotare il libro dell’autore sconosciuto da Feltrinelli. Ben venga Netflix se posso scegliere cosa guardare in TV senza dovermi sorbire trasmissione insulse e di dubbio gusto. Ben vengano tutti i servizi online se ci risparmio mediamente il 30%  rispetto ai corrispondenti analogici e onestamente mi interessa poco della cassiera che sciopera perché non vuole lavorare la domenica(***) proprio quando, almeno io, sono più propenso a spendere (e lo faccio su Amazon, Aliexpress, eBay. Wish e compagnia cantante), meno ancora mi interessa della desertificazione dei centri storici e della riduzione di fatturato degli ipermercati. Siete mai entrati in un negozio di abbigliamento con la commessa che cerca di rifilarti qualunque cosa e sembra si offenda se dici che sei lì per guardare? Ecco io con queste persone non ci voglio parlare e aspetto solo che anche gli alimentari si possano facilmente acquistare online e che possibilmente mi vengano consegnati col drone qui, proprio su questa terrazza.

 

(*) no, interfacciarmi non è un termine scelto per caso

(**) quando dico internet, intendo internet non il Web

(***) sarà banale, ma per come la vedo io ogni lavoratore deve essere tutelato e deve essere pagato per il proprio lavoro in maniera equa e proporzionale ma trovo inaccettabili tutte queste recriminazioni nei confronti del lavoro domenicale nel settore del commercio.

rosicare
ro·si·cà·re/
intransitivo
regionale e gerg. Rodersi per la rabbia, la gelosia o l’invidia.
 
Quello nella foto è mio figlio Pierpaolo, che ha appena preso parte ad una meravigliosa recita di fine anno, per la sua quinta elementare, dal titolo “Una sana e robusta Costituzione”. Esatto proprio quella Costituzione che avete, che abbiamo difeso a dicembre contro un tentativo di riforma sbagliato nei fatti più che nelle intenzioni. La Costituzione “più bella del mondo“, quella che si fonda sui principi di uguaglianza, laicità, solidarietà, pace, progresso e cultura. La Costituzione della Repubblica Italiana, il fondamento del nostro ordinamento giuridico, scritta per preservare il Paese da una nuova deriva totalitaria e che dimostra ancora oggi di riuscire ad arginare i tentativi di forzature al sistema da parte di populisti xenofobi e razzisti, ma che non potrà proteggerci per sempre; non potrà farlo quando quella sovranità che essa stesse rimette al popolo, pur con certi limiti, sarà definitivamente infangata dalla vostra ignoranza, dal vostro qualunquismo spicciolo, dal vostro informe razzismo, dalla vostra immensa stupidità. 
 
Rosico? Sì rosico, perché siete una manica di imbecilli, rosico perché la colpa non sarà, non è, di un arruffapopoli come Matteo Salvini che, più o meno fa i suoi interessi, la colpa non sarà di un neo-democristiano populista come Giggino Di Maio che ancora non riesce a crederci, la colpa non sarà nemmeno di una piccola Srl assurta al ruolo di stella polare del paese che scrive discorsi per premier telecomandati, nemmeno fosse una nuova emanazione del compianto Gianni Boncompagni. No, la colpa sarà vostra e non mi riferisco a quelli che col proprio voto hanno fatto sì che questa gente raggiungesse il potere, questo fa parte del normale processo democratico(*), mi riferisco agli informi pezzi di merda che dopo la formazione di un governo a trazione evidentemente fascio-leghista, stanno uscendo dalle fottute pareti con i loro slogan razzisti, con i loro ragionamenti xenofobi, con il loro modo di porsi, arrogante e qualunquista, quale tentativo di ribaltare la realtà veicolando un messaggio  nemmeno più politico ma  fondato sulla violenza, su un tentativo di affermare  motivi nazionalistici e sulla loro ricetta populista per superare conflitti economici, politici e sociali, in una parola mi riferisco a voi fascisti del terzo millennio che fino ad oggi vi vergognavate anche di esternare certi pensieri ed eravate mimetizzati, nascosti nella vostra vergogna, senza sapere di essere tanti, tantissimi.
 
Sì rosico, rosico perché non me n’ero accorto prima.
 
(*) del funzionamento della democrazia e del suffragio universale, magari, se ne parla poi.

Alex Mucci (***)

Ci sono dei temi da trattare con molta delicatezza perché in questo momento di estrema politically correctness ci vuol poco a scrivere le parole sbagliate; ma io non ho paura delle parole e vi dico, mentre ascolto “Voglio una Donna” di Roberto Vecchioni, che sono fermamente convinto che uomini e donne siano diversi; non con diversi diritti/doveri, non un genere meglio dell’altro ma diversi. Così ci sono delle cose che gli uomini fanno meglio delle donne e viceversa(*). Le donne hanno mediamente un QI più elevato, si laureano più in fretta, è provato abbiano maggiori capacità negli investimenti finanziari, gestiscono meglio lo stress e… sono molto più brave come cassiere dei supermercati.

Sì, gli uomini non sono geneticamente adatti a gestire la cassa di un supermercato, non è che le donne siano migliori in questo senso è che gli uomini sono proprio incapaci. Così una domenica(**), dopo aver riempito il carrello di spesa, non ci badi e te ne accorgi solo dopo un quarto d’ora di fila; alla cassa c’è una cassiera maschio e a quel punto? La scelta è fra cambiare cassa o andare avanti, ma sei già in fila da un quarto d’ora, ormai mancano solo due persone, persisti e sbagli. Sì, sbagli perché dopo un altro quarto d’ora sei ancora lì che la cassiera maschio sta cercando disperatamente il codice del fardello d’acqua e dice di essere frastornato e mentre la gente mugugna, lui va nel panico e tu sei lì che aspetti da mezz’ora e non sai se mollare la spesa e andare via o persistere. Proprio quando ogni speranza è persa, uno spiraglio di luce appare all’orizzonte, una cassiera arriva in soccorso della sua controparte maschile, dopo 5 minuti l’ordine naturale delle cose è ripristinato e dopo dieci minuti sei fuori a scrivere cazzate su un blog lieto di poter sorseggiare l’agognato Martini che avevi nel carrello.

(*) A dire il vero non mi viene in mente nulla che gli uomini facciano meglio delle donne ma non lo diciamo

(**) Sì, questa domenica ho fatto la spesa. No non potevo organizzarmi diversamente, fatevi i cazzi vostri.

(***) La ragazza nella foto si chiama Alessia, qui il suo profilo Instagram