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Diciamoci la verità: quale uomo non accarezzerebbe l’idea di stare con una donna sapendo, che se volesse, potrebbe stenderlo con un pugno, se poi la donna in questione si chiama Gina Carano…

 

Gina Joy Carano è nata  nella Contea di Dallas nel 1982 ed è stata una lottatrice di Muay Thai, per semplificare diciamo boxe thailandese; dal 2000 al 2006 ha vinto tutte le più importanti competizioni classificandosi sempre fra le prime 10 lottatrici del mondo, tutto ciò prima di darsi alla TV e oggi anche al cinema.

 

L’affascinante Gina, infatti ha cominciato la sua carriera televisiva con Fight Girls, una specie di reality show che documenta la vita di sette lottatrici e del loro lavoro per vincere un campionato. Successivamente Gina approda ad American Gladiator come la gladiatrice Crush. American Gladiator è andato in onda anche su Italia 1 ai bei tempi ed è uno show cult americano dove lottatori amatoriali combattono fra loro e contro i gladiatori in una sorta di competizione-spettacolo e in uno scenario “costruito” un po’ come quello del wrestling.

 

Dopo American Gladiators, Gina è diventata una star televisiva, invitata a tutte le trasmissioni TV e protagonista di video e documentari sportivi. Oggi entra anche nel mondo del cinema con Haywire di Soderbergh, un film d’azione che vedremo prossimamente anche in Italia.

 

Immancabile la Gallery dell’affascinante Gina Carano.

 

 

Ieri sera guardavo un episodio di Fringe sugli esperimenti esoterico-scientifici dei nazisti e, come sempre, ogni volta che penso alle atrocità perpetrate da Terzo Reich mi è tornata in mente la serie TV “Gli Eroi di Hogan”.

 

“Gli Eroi di Hogan” (Hogan’s  Heroes)è una sit-com made in USA trasmessa dalla CBS fra il 1965 e il 1971 per ben 6 stagioni e 168 episodi complessivi e che ha avuto un discreto riscontro sulle TV locali anche da noi a partire dagli anni ’80. Ancora oggi, facendo zapping in quel che resta della TV analogica, non è raro imbattersi in qualche episodio di questa intelligentissima serie televisiva.

 

LA SERIE

 

“Gli Eroi di Hogan” è ambientata in un campo di concentramento nazista, lo Stalag 13, in piena  Seconda Guerra Mondiale e i principali protagonisti delle storie sono proprio i “prigionieri di guerra” ospiti di questo campo e coordinati dal più alto in grado fra loro, il colonnello della U.S.Air Force, Robert Hogan (Bob Crane).

 

Lo Stalag 13, dove sono rinchiusi il colonnello Hogan e gli altri soldati alleati è comandato dall’incapace colonnello della Wehrmacht,  Oberst Wilhelm Klink(Werner Klemperer), che ne ha fatto il miglior campo di concentramento di tutta la Germania  da cui non è mai stata registrata un’evasione.

In realtà lo Stalag 13, con la sua rete di tunnel sotterranei, è di fatto un avamposto alleato nel cuore della Germania Nazista, sia a causa della totale incapacità del Colonnello Klink e dei suoi uomini di controllare i prigionieri, sia grazie alle straordinarie capacità degli Eroi di Hogan che utilizzano lo Stalag 13 come base da cui far partire missioni segrete e di appoggio alla Resistenza, custodendo persino degli apparati ricetrasmittenti con cui comunicare con Mamma Orsa, nome in codice del Comando Strategico britannico in Gran Bretagna.

 

“Gli Eroi di Hogan” è una serie comica dai toni surreali: i soldati tedeschi non vengono presentati come aguzzini ma come delle simpatiche canaglie, il buon sergente maggiore Hans Schultz(John Banner), ad esempio, è un simpatico grassone la cui frase più ricorrente è “io non ho visto niente” detta mentre, magari, il Colonnello Hogan si prepara un caffè utilizzando una miscela arabica importata dal Brasile.

Lo stesso Colonnello Klink, è sempre disposto a chiudere un occhio sulle malefatte di Hogan e ha come unico obiettivo quello di mantenere il primato di comandante del miglior campo di concentramento tedesco, il suo motto è  “Nessuno è mai riuscito a scappare dal Campo 13”  e la cosa importante, per lui, è di evitare di contrariare i superiori,cercando di evitare il “Fronte Russo“, in attesa della promozione a generale che aspetta da decenni.

Insomma lo Stalag 13 a volte sembra davvero un villaggio vacanze e per Hogan e i suoi uomini manca soltanto la vasca idromassaggio.  E’ interessante anche osservare come nella serie vengono rappresentati i soldati alleati delle varie nazionalità. Il telefilm è infatti infarcito dei classici stereotipi made in USA su francesi e inglesi mentre pecca di un’eccessiva benevolenza nei confronti dei soldati yankee.

 

Forse ridere di un periodo storico buio come quelle delle persecuzioni naziste ai prigionieri di guerra non è del tutto politically correct, e la serie, che dipinge i tedeschi come degli idioti totali e gli americani come geni della strategia, mostra una realtà leggermente parziale, “Gli Eroi di Hogan” rimane, tuttavia,  una delle sit-com più divertenti degli anni ’70-’80 ed è capace di strapparmi una risata anche oggi dopo trent’anni.

 

Mentre tornavo a casa mi sono ricordato dei pomeriggi, durante la preparazione degli esami di maturità quando, invece di studiare guardavo in TV T.J.Hooker. Così ho pensato di allietare la serata con una galleria su una delle più belle donne mai apparse in TV: Heather Locklear.

 

Io l’ho conosciuta, come ho detto, nel ruolo di Stacy Sheridan in T.J.Hooker, la serie con William Shatner prodotta da Aaroon Spelling.

In effetti il sodalizio con Spelling ha fatto la fortuna della Locklear che grazie a lui ha avuto la parte di Sammy Jo Carrington in Dynasty ma, sopratutto, la parte di Amanda Woodward in Melrose Place.

 

Oggi Heather ha più di cinquant’anni ma preferisco ricordarla come quando di anni ne aveva poco più di venti. Non si accettano provocazioni sui capelli ;-)

 

 

Eccomi qui a parlare dell’ultima fiamma, è il caso di dirlo, del Dottore, come quale Dottore? Ho capito cercavi le tettone e devi esserti perso.

 

Dicevo eccomi a parlare dell’ultima compagna di viaggio di Doctor Who a partire dalla quinta stagione:  Amelia Jessica “Amy” Pond. Il Dottore incontra Amelia da bambina, subito dopo l’undicesima rigenerazione, le promette di ritornare in cinque minuti, ma il Tardis, a volte, si sa… così il Dottore ritorna sì, ma dopo dodici anni, giusto in tempo per farsi aiutare dalla ventunenne Amy a salvare la Terra dagli ataraxi e andare via solo per tornare di nuovo dopo due anni ed invitarla a viaggiare con lui.

 

Beh, dopo la parentesi di Donna Noble, Amy è esteticamente uno spettacolo per la vista anche se, forse, Karen Gillan, la bellissima rossa scozzese venticinquenne che interpreta la compagna del Dottore, non è sempre all’altezza del ruolo. Comunque se vi piacciono le rosse e volete la conferma che, sotto il regno di Elisabetta II, le donne si truccano male e si vestono peggio, non perdetevi questa galleria.

 

Oggi Pierpaolo se ne esce con:
Arcà(1) non sono mai andato nello spazio e nemmeno in treno-,
cioè per lui viaggiare in treno o in astronave è sostanzialmente una questione di mezzo di trasporto e questo, se da un lato è inquietante, spiega cosa sta succedendo, in questi anni, alla science fiction, sopratutto, televisiva.

A parte Stargate Universe, finita ingloriosamente, in TV non si riesce più a vedere un bel fondo stellato e un’astronave con un equipaggio pronto a esplorare nuovi mondi. Per quanto mi riguarda è dalla fine di Star Trek:Deep Space Nine che non c’è una serie TV, chiamiamola di hard science fiction, fatta come si deve. La verità è che la fantascienza dura e pura non tira: negli anni ’60 un tablet che oggi costa 80 euro era uno strumento impensabile, coi comandi vocali si dialogava solo col computer di bordo dell’Enterprise, se dovevi comunicare con qualcuno dovevi chiamare un centralino, i computer, pure quelli fantascientifici, erano grossi, a valvole ed emettevano un sacco di beep. Oggi siamo abituati ad essere connessi 24h su 24h, se mi viene un dubbio su qualcosa lo cerco su Google col Blackberry, in un certo senso oggi è difficile ridestare quel “sense of wonder” che ha fatto la fortuna della SF letteraria e cinematografica negli anni ’60 e ’70. Gli stessi produttori e registi che hanno realizzato piccoli capolavori negli anni ’70 e ’80 hanno cambiato il loro approccio, non cercano più di creare stupore, l’ambientazione fantascientifica, oggi, è diventata solo strumentale a raccontare una storia, una storia che avrebbe potuto essere ambientata, nello stesso modo, in un liceo americano o nel far west. Prendiamo uno dei blockbuster della science fiction di questi anni: “Avatar”(2009). Chiunque ami, almeno un po’, la fantascienza non può non considerare Avatar nulla più che una vaccata immonda eppure produttore, sceneggiatore e regista del film è James Cameron, lo stesso Cameron di Terminator, Aliens, The Abyss, sì OK ha fatto anche Titanic, ma è proprio questo il punto: Avatar poteva essere ambientato su un barcone che affonda, sul pianeta Pandora o nel ballatoio di casa mia, sarebbe rimasto comunque una squallida storia d’amore e d’avventura infarcita di buoni sentimenti, NON c’è un solo elemento fantascientifico nel film realmente indispensabile per narrare la storia, non è Aliens, non è Terminator. Il problema quindi è il pubblico, non voglio credere che sia Cameron a corto di idee; spesso si parla di crisi di idee degli sceneggiatori ma se mio figlio, a quattro anni, non è per niente impressionato dal fatto di poter viaggiare fra le stelle e incontrare Topolino Marziano, hai poco da inventarti nuove storie, nuove tecnologie, nuove civiltà aliene per mio figlio sarà sempre un po’ come vedere uno spettacolo stantio, come può essere per me guardare un teatro di burattini. Sì certo si appassionerà nel vedere le battaglie in computer grafica dei Transformers ma difficilmente riuscirà ad innamorarsi di un futuro sognato, per certi aspetti, persino più arretrato del suo presente  e questo è un maledetto peccato.

(1) sì, mio figlio mi chiama Arcà