Riprendo un articolo di Alessandro Girola per parlare di un altro male che affligge il nostro paese il neo-luddismo italico. 

Siamo il paese dove la diffusione dei cellulari e smartphone assume percentuali imbarazzanti, dove si riesce a vendere un iPhone ai prezzi più alti del pianeta eppure ogni tanto si sente dire, dall’alto del concentrato di tecnologia che ognuno si porta in tasca: – eh, si stava meglio quando si stava peggio – ricordando la nostalgia di quei pomeriggi passati in strada a giocare a pallone dopo aver fatto i compiti.  – Da quando c’è internet i ragazzi non si relazionano più fra loro, diventano asociali e passano tutto il tempo con la testa dentro al monitor – che poi è la stessa cosa, aggiornata agli anni ’10 del ventunesimo secolo, che dicevano negli anni ’80 del ventesimo riguardo la televisione. – Eh, questi ragazzi, invece di giocare stanno tutto il tempo li a scimunire dietro ai cartoni animati giapponesi

Beh io che ero asociale, nel senso che non ho mai socializzato con i cretini, negli anni ’80-’90, quando ancora non c’era internet, prendevo la bici e me ne andavo in campagna a leggere un libro ma passavo anche i pomeriggi a guardare la TV e a cazzeggiare al computer e, francamente, se vedo mio figlio che dopo aver giocato al parco decide di buttarsi su un prato a giocare col Nintendo non mi scandalizzo più di tanto.

Potrei scrivere un trattato sul perché il progresso è meglio di un calcio nelle palle ma è inutile approfondire più di tanto la questione quando c’è gente che si porta addosso la tecnologia risultato di anni di ricerca spaziale e mi viene a dire, con quella certezza che non può che essere figlia dell’ignoranza, che l’uomo non è mai andato sulla Luna.

Preferisco quindi pensare a quelle che sono le rivoluzioni tecnologiche che hanno cambiato la mia vita e quella del’umanità negli ultimi venti anni (il personal computer, il telefono cellulare, lo smartphone, la fotocamera digitale, il navigatore satellitare, il climatizzatore, il tablet, gli e-reader…) e poi rimangiarmi tutto quello che ho detto! (beh quasi, dai…)

Eh sì, perché non sempre la tecnologia ti aiuta davvero. Nel 1971 la Gillette brevettò il primo rasoio bilama usa e getta, che poi sono diventate, tre, quattro fino a raggiungere  le sei lame accompagante dalle necessarie strisce idratanti per poter far scorrere il rasoio, dei recenti aggeggi venduti nei centri commerciali. Ogni nuovo modello di rasoio sembra sempre migliore rispetto al precedente, anche quando lo provi, eppure… sarà che io sono pigro e la barba la faccio ogni settimana, quando va bene, sarà che ho una barba molto folta, ma con l’ultimo modello di rasoio che ho comprato, per farmi la barba, ci sono volute due testine da 2 euro l’una, facevo prima e meglio ad andare dal barbiere :-)

Così ho deciso di tornare all’antico e mi sono comprato un rasoio di sicurezza, quello brevettato dalla Gillette verso la fine del 1800,  con le lame usa e getta in acciaio inox e… miracolo riesco a farmi la barba perfettamente in minor tempo e con una spesa effettiva di 5 centesimi! Già da tempo avevo abbandonato la schiuma da barba in bomboletta che più che idratare mi sporcava la camicia in favore del vecchio sapone da barba e pennello… beh ora posso davvero dire un altro mondo.

Non parliamo, poi, dei rasoi elettrici… che è meglio!

 

E” incredibile pensare che siano passati 25 anni dalla prima messa in onda di Star Trek: The Next Generation(TNG), nell’ormai lontano 28 settembre 1987In verità la serie arrivò in Italia nel 1991 ma a me sembra davvero come fosse ieri; mi sembra passato un secolo, invece, dalla prima volta che vidi la serie classica (TOS), in bianco e nero, sul vecchio Phonola  di mio padre.

TNG nasce venti anni dopo la chiusura della serie classica: grazie alle repliche di TOS e ai successivi film con protagonisti Kirk & C il fandom di Star Trek continua a crescere. La Paramount decide così  di riproporre la serie aggiornata agli anni ’80 (sarebbe stato difficile far entrare Shatner in una tutina aderente per altri sette anni) ambientandola un secolo dopo, con nuovi protagonisti e una nuova più moderna astronave.

LA STORIA

La nuova serie ricalca in parte il tema dominante della serie classica: una nave stellare, la nuova Enterprise, di classe Galaxy,  matricola NCC 1701D e un equipaggio in missione nel quadrante Alfa per conto della Federazione dei Pianeti Uniti. Sono passati cento anni dalla missione quinquennalle della NCC1701 Enterprise; la Federazione è più matura e nuovi pericoli minacciano la pace nel quadrante. Questa volta i Klingon sono alleati, sulla plancia della nuova Enterprise è persino presente uno di loro, Worf, mentre i romulani continuano ad essere arroccati dietro la zona neutrale e a minacciare saltuariamente i territori federali.

Altri nemici si delineano ai margini del quadrante i Cardassiani con la loro sete di conquista ma sopratutto gli spietati Borg, una razza di cyborg, provenienti dal quadrante Delta, con l’unico obiettivo di “assimilare” ogni forma di vita organica. La nuova Enterprise e il nuovo equipaggio comandato dal capitano Picard viaggierà in missioni diplomatiche (importantissima per le sorti della Federazione la mediazione di Picard nella successione dell’impero Klingon) ma anche in vere e proprie missioni militari.

Nonostante il sub-plot simile, in TNG la parte avventurosa, pur presente, è meno centrale e la nuova serie dimostra una maturità, di fronte a certe tematiche anche “sociali” che TOS non ha mai raggiunto; c’è da dire che, a differenza di TOS, TNG ha avuto più tempo per poter crescere, la prima stagione, in realtà, è decisamente fiacca e solo dalla terza stagione si sono visti episodi realmente memorabili.

L’EQUIPAGGIO

Questo poster mi accompagna da oltre 20 anni

Voler azzardare un paragone fra gli equipaggi di TNG e TOS è impresa ardua.

Picard introverso e riflessivo è diversissimo dall’impulsivo donnaiolo Kirk personaggio in parte ripreso dal primo ufficiale Riker(anche lui nelle ultime stagioni comincia ad avere difficoltà con le tutine),

Spock non ha un vero e proprio omologo anche se Data l’androide alla ricerca dell’umanita, probabilmente ci andrebbe molto d’accordo.

Scotty è stato sostituito da un LaForge spesso troppo ingessato per poterne prendere il posto nel cuore dei fan (per quanto Levar Burton sia davvero simpatico) e il burbero dottor McCoy è stato sostituito indegnamente dalla dottoressa Crusher (nella seconda stagione dalla dottoressa Pulanski)  che non ha realmente ragione di esistere se non per la noiosa storia d’amore mai cominciata con Picard.

Ci sono poi personaggi che non trovano nessun omologo nella TOS.

Il capo della sicurezza della nave: Tasha Yar nella prima stagione e il klingon Worf dalla seconda in poi. Tasha esce dalla serie troppo presto e il suo personaggio, che avrebbe potuto avere un’evoluzione positiva, verrà presto dimenticato per essere sostituito da Worf, un klingon cresciuto in una famiglia umana, il cui personaggio sarà al centro di moltissimi episodi ed evolverà nel corso delle sette stagioni per poi ritrovarsi in Star Trek: Deep Space Nine.

Il Consigliere della Nave, Deanna Troi, in parte betazoide, è dotata di una fortissima empatia: aiuta l’equipaggio in missione nello spazio ad attenuare la tensione, ma in moltissime occasioni è indispensabile a Picard nelle sue missioni diplomatiche.

CURIOSITA’

Nella nuova serie fanno apparizioni come guest star alcuni personaggi della serie classica. Nel pilot “Incontro a Farpoint” appare  DeForest Kelley nei panni di un anziano Dottor McCoy, inoltre nella serie appariranno Spock(Leonard Nimoy) e Scotty(James Doohan). Dalla seconda stagione fa la sua apparizione Guinan (Whoopy Goldberg) che gestirà il bar di prora della nave. Principali innovazioni tecnologiche della nuova serie sono:

i comunicatori, non più portatili (tipo cellulare) ma integrati nel badge sul petto dell’uniforme;
i replicatori particolari dispositivi basati sulla stessa tecnologia del teletrasporto in grado di comporre insieme le molecole per costruire cibo e utensili
– i ponti olografici, particolari habitat dove viene riprodotto un ambiente virtuale utilizzando degli proiezioni olografiche e dei campi di forza

la nuova nave stellare, oltre a tutte le innovazioni, ha un sistema per ricostruire i cristalli di dilitio, indispensabili per la navigazione a curvatura e che spesso lasciavano in panne la vecchia Enterprise di Kirk; da non dimenticare l‘LCARS, la particolare interfaccia full touch-screen dei computer della Federazione.

CREDITS

Capitano Jean-Luc Picard – Patrick Stewart
Comandante William T. Riker – Jonathan Frakes
Tenente Comandante Data – Brent Spiner
Tenente comandante Geordi LaForge – Levar Burton
Tenente Worf – Michael Dorn
Dr. Beverly Crusher – Gates McFadden (1987-1988 / 1989-1994)
Consigliere Deanna Troi – Marina Sirtis
Tenente Natasha Yar – Denise Crosby (1987-1988)
Wesley Crusher – Wil Wheaton (1987-1990)
Dr.Katherine Pulaski – Diana Muldaur (1988-1989)
Capo Miles Edward O’Brien – Colm Meaney (1987-1993)
Guinan – Whoopi Goldberg (1988-1992)
Tenente Ro Laren – Michelle Forbes (1991-1992)
Keiko Ishikawa O’Brien – Rosalind Chao (1991-1993)

Titolo Originale: “Star Trek: The Next Generation”
Creato da: Gene Roddenberry
Produttore Esecutivo: Gene Roddenberry
Prodotto da: Burton Armus, Ira Steven Behr Effetti Speciali: Dick Brownfield Musiche: Jay Chattaway, Alexander Courage, Don Davis, John Debney, Ron Jones, Dennis McCarthy, George Romanis, Fred Steiner, Jerry Goldsmith
Episodi: 278 episodi da circa un ora in sette stagioni andate in onda la prima volta dal 1987 al 1994 (in Italia su Italia 1 dal 1991 al 1997)

Prendo spunto da questo

L’appel des 451 pour agir et sauver l’édition. Nous, le collectif des 451 professionnels de la chaîne des métiers du livre, avons commencé à nous réunir depuis quelque temps pour discuter de la situation présente et à venir de nos activités.

un appello lanciato su Le Monde da 451 professionisti della filiera editoriale, tradotto e riproposto da Repubblica per parlare di quella che si preannuncia una diatriba che a breve esploderà in maniera dirompente anche nel nostro paese; le prime avvisaglie si sono avute quest’estate con gli articoli della scrittrice Margherita Loy che ci fa sapere prima che «Non cederò mai all’e-book» e che poi si chiede se con l’«E-book, il futuro sarà snob e discriminante?» dandosi anche la risposta.

E-book VS cartaceo

Ora, parteggiare per il digitale o per il profumo della carta è francamente poco appassionante, l’evoluzione non si può fermare … al massimo la puoi prendere a colpi di clava per vedere se rallenta (cit.). Del resto anche Gutenberg quando introdusse la stampa a caratteri mobili a metà del  1400 ebbe i suoi problemi e le motivazioni oggi come allora sono sempre le stesse: soldi.

E’ inutile starci a girare intorno o fare le pulci alle inesattezze e all’ignoranza dei detrattori degli e-book; se io fossi uno scrittore affermato [1] la diffusione di strumenti di lettura pratici ed economici come i reader e-ink mi darebbe molto fastidio per almeno due motivi:

– mi sono fatto il culo (ovvero ho avuto il culo) di essere pubblicato da grossacasaeditricechemonopolizzailmercato e adesso vedo il mio piccolo orticello invaso da chi pretende di autopubblicare il proprio lavoro facendosi pagare € 0,99 su Amazon

– il mio capolavoro della letteratura può essere copiato con un paio di click, qualche click in più se ci metto DRM o altre diavolerie anti-copia che però mi rendono antipatico ai fans/lettori

Dal punto di vista della filiera editoriale, ovviamente, il problema è maggiormente sentito perché se é vero solo in parte quello che dice l’amministratore delegato di Amazon, Jeff Bezos, e cioè che «oggi le uniche persone indispensabili nel mondo dell’editoria sono il lettore e lo scrittore» è anche vero che nei posti dove gli e-book hanno superato il 50% del mercato editoriale le ripercussioni sulla filiera (case editrici, tipografie, librerie…) cominciano ad essere pesanti; un comunicato dal sapore squisitamente sindacale e tipicamente francese, come l‘appello dei 451 in cui si pone un problema ma non si offre alcuna soluzione che non sia esclusivamente programmatica «creando cooperative e centrali di acquisto, unendoci per ottenere condizioni salariali migliori, o ancora inventando luoghi e pratiche più adatti alla nostra visione del mondo e alla società in cui desideriamo vivere» tuttavia non serve a nulla se non ad alimentare polemiche.

Fra l’altro in questo tipo di invettive c’è sempre lo stesso errore di fondo che è quello di cercare di ottenere l’appoggio del lettore con ammiccamenti romantici («ah il profumo della carta») o facendo trapelare la velata  minaccia di un futuro infausto dovuto ad un falso progresso («gli e-reader sono costosi e c’è il rischio dei continui upgrade hardware» oppure «il valore di un libro diventa legato alle cifre di vendita e non al contenuto»). In realtà dalla diffusione dell’editoria digitale  il lettore ha tutto da guadagnare, non solo per una riduzione inevitabile dei prezzi di copertina, ma sopratutto perché, a dispetto di quello che affermano i talebani  della carta affetti da conflitto di interesse, gli e-book offrono al lettore[2] la possibilità di accedere a contenuti di autori indipendenti che mai saranno pubblicati da grossacasaeditricechemonopolizzailmercato. Certo il rischio di ritrovarsi sull’e-reader delle vaccate immonde è decisamente alto, ma alta è anche la possibilità di incontrare delle vere perle che mai avrebbero visti gli scaffali di una grossalibreriachemonopolizzailmercato.

Per chiudere, personalmente, ritengo che il progresso sia inarrestabile e che, come sempre, nelle fasi di cambiamento c’è chi saprà approfittare delle occasioni, cavalcandone l’onda, e chi soccomberà dopo averle tentate tutte per mantenere lo status quo. Un esempio per tutti le case editrici di libri scolastici:  nonostante, per legge, debbano fornire i contenuti anche in formato elettronico, si comportano in modo da ostacolare la diffusione del materiale non cartaceo mediante la vendita di contenuti misti(purtroppo previsti dalla normativa) o di contenuti digitali in formati improponibili, allo stesso prezzo o quasi del caro, vecchio librone da mettere in cartella. Questo è il tipo di resistenza che spazzerà definitivamente dal mercato i libri di testo sostituiti, per esempio, dagli e-book gratuiti degli stessi professori (cosa che mi è capitato di assistere proprio in questi giorni per la prima classe di un liceo classico) o, addirittura, pubblicati e distribuiti dalla stessa scuola.

Ringrazio Lucia Patrizi per la segnalazione dell’articolo di Le Monde

[1] essere uno scrittore affermato, in italia, non c’entra con il saper scrivere ma solo con avere la capacità o la fortuna di proporre il tema giusto al momento giusto o di conoscere qualcuno importante in grossacasaeditricechemonopolizzailmercato.

[2] per lettore non intendo colui che compra “50 sfumature di qualcosa” da leggere sotto l’ombrellone, ma immagino una persona curiosa, in grado di farsi delle domande e di distinguere un buon lavoro da lammerda(TM)

Sì lo so che ho alcuni metri lineari di libri da leggere impilati ovunque e sì, anche il Kindle, si sta riempiendo, ma in questi giorni mi sono riletto “La Tuta Spaziale” (Have Space Suit — Will Travel) romanzo per ragazzi scritto nel 1958 da Robert A. Heinlein. Avevo letto La Tuta Spaziale più o meno a 13-14 anni, è stato uno dei miei primi romanzi di fantascienza; ritrovai il libro spiegazzato e polveroso, nella soffitta di mio nonno, Arcangelo, vecchio appassionato di science fiction e noir e lo lessi in un pomeriggio.

Il romanzo di Heinlein racconta la storia di Kip, un ragazzo che ha deciso con tutte le sue forze di andare sulla Luna, ormai colonizzata, e per farlo è disposto a tutto, arruolarsi nelle forze spaziali, diventare ingegnere o medico ma anche… spedire migliaia e migliaia di slogan per partecipare al concorso indetto da una ditta di saponette che ha, come primo premio, proprio un viaggio andata e ritorno sulla Luna.

Kip non vincerà il concorso, pure se il suo è lo slogan selezionato altri avevano inviato la stessa frase prima di lui (ricordatevelo quando vi dicono che fa fede il timbro postale); se pure non può aspirare alla Luna, tuttavia, Kip vince un premio di consolazione: una vera tuta spaziale utilizzata durante la costruzione degli habitat sul nostro satellite che gli viene recapitata a casa fra squilli di trombe e rulli di tamburo.

Certo io una tuta spaziale la terrei in salotto, ma Kip ha  bisogno di soldi per l’università e decide di darla via in cambio di danaro, non prima , però, di averla rimessa in sesto, equipaggiata, rifornita e sopratutto provata. Da qui iniziano le avventure di Kip che lo porteranno da un negozio di frullati in un’oscura provincia americana ad essere rapito dagli alieni e imprigionato su un’astronave insieme a Peewee una ragazzina terrestre coraggiosa e intelligente quanto rompiscatole.  In breve tempo Kip non solo raggiungerà la Luna ma vivrà la più grande avventura che un uomo possa desiderare raggiungendo la Nebulosa Magellanica Minore, sconfiggendo mostri alieni incredibili e terrificanti, incontrando sagge creature millenarie  e contribuendo a salvare l’umanità… il tutto grazie all’aiuto di Oscar, la sua tuta spaziale.

Questo romanzo, nonostante sia un prodotto per adolescenti, rimane fra i migliori della produzione di Heinlein, ma a me, all’epoca, colpì per un altro motivo: la tuta spaziale.

Una tuta spaziale, anche quella descritta da Heinlein nel ’58, è un vero e proprio habitat in miniatura progettato per preservare, accudire e, perché no, coccolare il suo abitante: era proprio quello che mi ci voleva in quel periodo. Facevo brutti sogni e la notte non era proprio amichevole, credo capiti a tutti i ragazzini, dopo quella lettura cominciai ad addormentarmi immaginando di essere in una tuta spaziale, protetto, indistruttibile e pronto per avventure incredibili.

La tuta spaziale fa presto, nella fervida fantasia di un adolescente, a trasformarsi in una potente e invincibile armatura  e sarà forse per questo che ho sempre adorato  anime e film a tema. Visto che ci sono, dunque, è il caso di fare un piccolo riepilogo delle armature, tute ed esoscheletri che hanno accompagnato la mia adolescenza.

5) Saint Seiya – I Cavalieri dello Zodiaco

Le armature di bronzo dei cavalieri di Athena mi hanno sempre affascinato ma hanno il problema di essere, in un certo senso, magiche. Non c’è un reale motivo per cui quei pezzi di latta possano proteggere il corpo dei propri occupanti di cui lasciavano scoperto un buon 60%. In questo senso preferivo le armature dei “cavalieri d’acciaio” comparsi nei primi episodi della prima serie; tre sfigati al soldo della solita Lady Isabel che indossavano però delle avveniristiche armature tecnologiche.

4) Hurricane Polymar

Anche questa non è una vera e propria armatura.  Takeshi indossava una specie di casco da motociclista che aveva al suo interno un sistema tecnologico in grado di liberare il polyment , un particolare polimero che ne riveste il corpo rendendolo indistruttibile e trasformandolo in Polymar. Nemmeno questa è una vera armatura, per quanto indistruttibile e nonostante le capacità di trasformare il corpo di Takeshi in aereo o carro armato.

3) I Centurion

Quanti di voi si ricordano di questa serie animata andata in onda negli anni ’80 su Odeon TV? Sì, immagino che molti di voi non sappiano nemmeno cosa sia Odeon TV. Comunque I Centurion erano Max Ray , per le operazioni marine, Jake Rockwell, per le operazioni terrestri ed Ace McCloud per le operazioni aero-spaziali. I tre Centurions indossavano una suite da combattimento, Exo-Frames, in grado di teletrasportarli sul luogo delle operazioni. Gli Exo-Frames sono anche degli esoscheletri in grado di moltiplicare la forza e l’agilità umana e sono fatti in modo da adattarsi a vari sistemi d’arma che rendono i Centurions delle vere e proprie macchine da guerra.

2) Gordian

Gordian è  il super robot matrioska degli anni ’80 che nasce dalla combinazione  di tre macchine  Protesser, Deringer e Garbin ed è pilotato da Daigo, che entra all’interno di Protesser, il mecha più piccolo, che gli si adatta perfettamente come un’armatura da combattimento. A sua volta Protesser entra in Derringer e così in Garbin a formare Gordian. Già stare dentro Protesser comincia ad avvicinarsi alla mia idea di protezione da Tuta Spaziale, tuttavia non ci siamo ancora, dal momento che Protesser non è una vera armatura ma un mecha pilotato da Daigo con un collegamento telepatico e comunque raramente nella serie lo si vede combattere al di fuori degli alti due mecha.

1) Iron Man

Beh, Iron Man  spiega esattamente cosa io intendo per armatura protettiva.  Iron Man è uno dei più noti personaggi della Marvel Comics: la sua vera identità è quella di Tony Stark, magnate dell’industria bellica che progetta un’armatura composta da casco ( che contiene gps, radio, video comunicatore, comunicatore satellitare, raggi x ed infrarossi, computer, database, scanner), guanti (con raggi repulsori, raggi laser, mitragliatrici laser, emettitori di scudi), stivali( con razzi propulsori, missili, emettitori impulsi magnetici, lanciafiamme), busto (con  creatore di ologrammi, generatore di scudi e campi di forza, torcia, raggio di calore, raggio congelante, raggio paralizzante, laser, EMP), schiena (con eliche di emergenza, propulsori, lancia-missili, aero-freni, emettitore EMP e di scudi). L’armatura di Iron Man è in costante aggiornamento e negli anni ha anche cambiato varie volte colore fino a raggiungere l’attuale rosso e oro.

Fuori concorso ci sarebbe l‘armatura finale la più potente di tutte: Tekkaman

Tekkaman è un’armatura che si fonde con il suo ospite attraverso una camera di trasformazione all’interno del robot Pegas che, al pari di un’avveneristica vergine di Norimberga, tortura il povero George trasformandolo in Tekkaman, ricoprendolo di una corazza indistruttibile, aumentandone la densità e dotandolo e di armi micidiali. Il problema è che un uomo può sopravvivere come  Tekkaman solo per 37 minuti e 33 secondi. Tutto ciò rende l’armatura non sufficientemente amichevole da trascinarmi felicemente nel mondo dei sogni.

Beh detto questo concludo con un interrogativo che ha il sapore di una speranza: chissà se fra qualche anno i miei figli decideranno di leggere “La Tuta Spaziale”, un romanzo scritto nel 1958.

Da qualche giorno ho cominciato a guardare questo telefilm prodotto per la TV americana  TNT e riconfermato già per la quinta stagione. Il serial TV prodotto da John Rogers e Chris Downey, a partire dal 2008, è una serie d’azione e d’avventura con episodi di circa 45 minuti.

Leverage è il nome di una squadra eterogenea formata da un ex-investigatore assicurativo caduto in disgrazia e da quattro criminali professionisti specializzati in truffe, furti e effrazioni che insieme formano una squadra unita al motto di “I ricchi e i potenti si prendono quello che vogliono, noi vi ridaremo il mal tolt0” ed è proprio quello che fanno i ragazzi di Leverage, letteralmente “leva finanziaria” quella stessa che permette al potere di sovrastare la gente comune.

 

Ogni episodio del  telefilm si svolge secondo una trama ben definita. Il team, di quelli che si autodefinsicono “consulenti” , incontra il “cliente” e accetta il caso. Viene studiato il cattivo di turno e viene elaborato un “piano” che consiste in un qualche genere di truffa volta a ristabilire le giuste proporzioni. Le operazioni procedono e i ragazzi di Leverage sembrano  inizialmente avere la peggio, la truffa è nascosta anche al punto di vista di quello che guarda dal divano. Nel finale miracolosamente le parti si invertono e il bene trionfa mentre allo spettatore vengono spiegati, attraverso una serie di flashback, le fasi e le evoluzioni della truffa che erano state in precedenza celate.

 

Per i canoni attuali, Leverage, con il suo plot ripetitivo, la mancanza di un unico filo conduttore che si svela, piano piano, dietro ogni storia e i suoi enormi buchi di sceneggiatura può essere ricondotto ad un telefilm di serie B, ma è proprio questo il segreto del successo programma.

 

Leverage è una serie leggera che non prende mai troppo sul serio; non è necessario seguire ogni episodio nel giusto ordine per capirci qualcosa (La7 infatti li ha trasmessi a caso), non ci sono trame oscure e , complotti immaginari, sembra di tornare ai tempi di  A-Team con tutta la spensieratezza di una serie dove, nonostante le ambiguità di fondo, è chiaro chi sono i buoni, chi sono i cattivi e dove il lieto fine è assicurato.

 

Vediamo chi sono i protagonisti di Leverage:

 

Mastermind: Nathan Ford (Timothy Hutton) un ex investigatore assicurativo che dopo la perdita del figlio a causa del rifiuto della IYS, l’assicurazione per cui lavorava, di supportare le cure sperimentali che avrebbero salvato il bambino piomba in un periodo di crisi e depressione. Divorzia dalla moglie, lascia la compagnia, diventa un alcolista. Riesce a ritrovare, in parte, se stesso solo grazie alla squadra Leverage, di fatto una nuova famiglia, e grazie alla nuova attività dove non più servo di una multinazionale riesce realmente ad aiutare i bisognosi e a punire i malvagi là dove la legge non può arrivare.

 

GrifterSophie Devereaux (Gina Bellman) è un’aspirante attrice anche se nessuno ha mai avuto il coraggio di dirle che non è assolutamente portata per il palcoscenico ma, dotata di una naturale empatia e di una profonda conoscenza dell’animo umano, quando lavora come truffatrice e come ladra di opere d’arte,  è in grado di far venir fuori tutta la sua vena artistica riuscendo ad immedesimarsi in qualunque personaggio al punto di dimenticare, quasi, la sua vera identità che non è nemmeno quella di Sophie con cui è conosciuta dai compagni di Leverage. Sophie e Nathan hanno una chiara attrazione reciproca che per vari motivi stenta a decollare durante la serie

 

HitterEliot Spencer ( Christian Kane), picchiatore, guardia del corpo, ladro, assassino, cecchino, soldato. Imbattibile nel corpo a corpo  ed esperto di armi si autodefinisce “esperto di recupero”. Lui è il braccio armato di Leverage, quando c’è da menare le mani arriva Eliot; in diverse occasioni, tuttavia, si scoprono di lui dei lati sorprendenti sia dal punto di vista sentimentale che da quello più meramente intellettuale che lo portano in molte occasioni a tirare fuori dai guai i compagni.

 

HackerAlec Hardison (Aldis Hodge) esperto di informatica e di tecnologia è in grado di maneggiare qualunque tipo di apparecchiatura elettronica per metterla al servizio dei compagni. Non c’è banca dati in cui non possa entrare, non c’è sistema di videosorveglianza che non possa violare. Ama i trucchetti scenografici e le esagerazioni; il suo ruolo è indispensabile nella squadra.

 

Thief: Parker (Beth Riesgraf) ladra, acrobata, borseggiatrice. Orfana e vittima di un’infanzia difficile è diventata una ladra per necessità. Parker è in grado di forzare cassaforti, camminare su cornicioni, calarsi da un grattacielo con la stessa disinvoltura con la quale noi prenderemmo un caffè. Di fronte ad una situazione che implichi un carico emotivo, però, finisce in preda al panico. Nel telefilm si nota una certa attrazione con Hardison ma le circostanze e il carattere introverso di Parker non aiuta ad uno sviluppo in senso sentimentale della loro amicizia.

 

Beh vi lascio proprio con una galleria della bellisima Beth Riesgraf