A breve parleremo di “Primeval” una serie inglese del 2007 che sto guardando ultimamente, nel frattempo non posso fare a meno di pubblicare questo piccolo tributo ad una delle protagoniste del telefilm, nonché una delle più belle donne del pianeta come testimonia la classifica  di FHM “Top 100 Sexiest Women”,  che la vede presente fra il 2000 e il 2004 ;-)

 

Hannah SpearittHannah Louise Spearritt è un’attrice e cantante inglese nata il 1 aprile 1981 a  a Great Yarmouth. Comincia la sua carriera come cantante nel gruppo pop S Club 7. Il gruppo, che si è sciolto nel 2003, è stato ai primi posti delle classifiche britanniche anche  grazie alla serie  BBC Miami 7, una sorta di High School Musical inglese di cui la band era protagonista.

 

I primi ruoli televisivi di Hannah incominciano all’età di 12 anni con alcuni spettacoli teatrali fino al 1998 con una parte in un film per la TV ” The Cater Street Hangman”  e alcune apparizioni al National Lottery Show tutto ciò mentre studia matematica, teatro e media al college e comincia la sua carriera come cantante.

 

Nel 2003 Hannah approda a Los Angeles per un audizione nel film Agent Cody Banks 2: Destination London ottenendo il ruolo e lasciando l’S Club per iniziare le riprese. Segue nel 2004 un ruolo in un film horror Seed of Chucky. Dopo una breve pausa passata con la sua famiglia ritorna sulle scene in Blessed una sitcom della BBC e nel deludente musical Snow!, cancellato dopo tre settimane.

 

Nel 2006 ottiene il ruolo in Primeval, come Abby Maitland, che la vede protagonista per tutte le 5 stagioni. Dal 2011 ottiene diversi ruoli in vari spettacoli teatrali.

 

Fino al 2013 ha avuto per compagno Andrew-Lee Potts altro protagonista della serie Primeval.

 

Per saperne di più su di lei visitate il suo sito web http://www.hannahspearritt.net/ o seguitela su twitter intanto vi lascio con una piccola gallery

 

 

L’Ultima Thule chiude la carriera musicale di un Francesco Guccini che a 73 anni conclude il suo percorso con la musica con un nuovo album e una conferenza stampa in un circolo Combattenti e Reduci[1] con le luci da balera accese; un incontro con i giornalisti che gli chiedono cosa farà d’ora in poi e a cui risponde esattamente come  mi sarei aspettato:

«Cosa faccio adesso? Leggo. Mi alzo la mattina verso le dieci, dieci e mezza, e leggo. Poi pranzo e guardo i telegiornali e leggo. Ceno e poi leggo»

Cosa volete che faccia uno come Guccini a più di settant’anni.

Non voglio in alcun modo recensire L’Ultima Thule che si riallaccia chiaramente a Stagioni del 2000 e Ritratti del 2004,  secondo un copione che sembra quasi già scritto. L’Ultima Thule è una sorta di testamento musicale con alcuni pezzi anche notevoli ma dove si avverte un Guccini decisamente stanco di cantare, stanco di stare al centro dell’attenzione, stanco di fare il pagliaccio a 70 anni suonato, stanco.

Il primo album di Guccini uscì, praticamente senza alcuna accoglienza di pubblico, nel 1967, 45 anni fa. Guccini, le sue canzoni mi accompagnano dall’adolescenza, più di 25 anni, ahimé. Alcuni pezzi SONO la colonna sonora della mia vita. Guccini con le sue canzoni è stato un faro nella notte, quella notte cantata in Canzoni di Notte; da lui ho imparato molto, i suoi testi mi hanno sempre aiutato indicandomi un punto di vista differente, alternativo (in senso opposto a quello che ci si aspetterebbe) su molti argomenti, su molti aspetti della vita, dell’universo, della società. Ma da Guccini ho  imparato anche, semplicemente, un certo modo di scrivere e di parlare; vi racconto un aneddoto. Dovevo frequentare il terzo o il quarto superiore avevo preso un paio di quattro ai compiti in classe di italiano. Non credo che fossi realmente scarso ma semplicemente scrivere a comando di argomenti di cui non mi interessa non mi ha mai appassionato. Il giorno prima dell’ultimo compito in classe passai tutto il pomeriggio, fino a sera, steso sul mio letto ad ascoltare Francesco Guccini e Fabrizio De Andrè. Il giorno dopo non scrissi un tema, non mi ricordo nemmeno l’argomento, non mi importava, ricordo solo che rielaborai le tre righe della traccia usandole come canovaccio per fare un collage di pezzi delle canzoni che avevo ascoltato per tutto il giorno precedente. A quel compito presi immeritatamente nove, ma anche quello fu un insegnamento: la forma conta più della sostanza specialmente se hai di fronte un imbecille.

La notizia della fine del Guccini cantante giunge praticamente insieme alla morte di mio nonno e ciò un po’ mi fa riflettere se non altro sul fatto che, forse, sto diventando adulto, ma Guccini fa bene a ritirarsi dalle scene musicali l’alternativa sarebbe che morisse per non deludere i fans e francamente non mi sembra il caso (Francesco lo so che ti stai grattando le palle adesso) adesso penso si rimetterà a scrivere romanzi, probabilmente gialli ambientati nella provincia emiliana, che io non leggerò sicuramente… perché Guccini è un’altra cosa, o almeno lo è per me.

[1] Ma quanti “Combattenti e Reduci”, si intente della II Guerra Mondiale, sono ancora vivi?

 

Abbandonato il mare che provoca inquietudine con le sue minacce,  in cui  Vinicio Capossela ci aveva sprofondati l’anno scorso con il suo “Marinai Profeti e Balene” eccoci, finalmente, approdare nei porti di quella Grecia, culla della cultura mediterranea, a cui noi tutti dobbiamo molta più gratitudine di quanta ne dimostra la paura e le prese di distanza per colpa di uno spread, uno stupido indicatore, che evoca il terrore del fallimento.

Il nuovo “Rebetiko Gymnastas” è, invece, un vero e proprio tributo a una cultura millenaria evocata dal rebetiko (Ρεμπέτικο) un genere sorto negli anni ’30 nelle periferie di Salonicco mischiando assieme la tradizione ellenica, bizantina e ottomana in un genere folk di protesta che canta storie di povertà ed emarginazione.

Capossela decide di reinterpretare in chiave rebetika alcuni suoi pezzi più famosi, senza operare, tuttavia,  un vero e proprio stravolgimento ma trasportando l’ascoltatore in una nuova dimensione; un luogo dello spirito dove si prova un senso di nostalgia per un mondo più a misura d’uomo, dove piuttosto che idolatrare i numeretti che compongono un freddo grafico si preferisce il senso di appartenenza a una comunità e il contatto con la natura e con le tradizioni.

Molto interessanti i pezzi inediti, in particolare quello scelto per aprire l’album,  “Abbandonato”, forse un po’ costruito, e “Rebetico Mou”, una piccola perla, che ricorda il Capossela delle origini.

Dopo l’esperienza mistica ma disorientante del Capossela di “Marinai, Profeti e Balene” e considerando il desolante panorama musicale italiano degli ultimi anni fatto di musicisti, se possibile, più fasulli del programma televisivo che li ha lanciati,  “Rebetiko Gymnastas” è un vero faro nella notte.

Sono tre giorni che mi suona in testa “Planet O”  la sigla italiana della prima stagione di Le Avventure Lupin III, nel 1979 e del film di animazione La Pietra della Saggezza. Questa canzone non c’entra nulla con le avventure del ladro gentiluomo, penso che RCA avesse altri progetti per questo pezzo; rimane, tuttavia, una delle più belle sigle televisive di tutti i tempi.

[spoiler show=”Leggi il testo di Planet O” hide=”chiudi”]

Scritta da: N. Cohen, S. Woods, F. Safi
Cantata da: Daisy Daze and the Bumble Bees
Casa discografica: RCA

Planet O, planet O.
Planet O, planet O.

We are pirates from the planet O,
we’ll enslave you, we will break your soul,
we will chain you, make you fall and bow,
we’ll defile you, satisfy you.

Please don’t touch me, don’t come near me.
We will rock you, we will shock you.
Please don’t touch me, don’t come near me.
Please don’t touch me, do you hear me?
I’m a lady, just a baby.
What’s a lady? What’s a baby?
Call me lazy, call me crazy,
I don’t want to go to planet O.

No, no, no, no, don’t touch me.
No, no, no, don’t come near me.
We’ll surprise, scandalize you.
We’ll surprise, vandalize you.
Mercy, mercy, help me, help me.
Call my mama, call the U.S.O.

Planet O, planet O.
Planet O, planet O.

We will break you, desecrate your soul.
We will shake you, overtake you.
Please don’t touch me, touch me, touch me.
Don’t come near me, near me, near me.

Hypnotize you, neutralize you.
Crazed it made me, serenade me,
wake me, take me to the planet O.

We are pirates from the planet O,
we have come to capture you,
please come peacefully.

We will tie you, sacrifice you.
Tie me, tie me, halleluja.
Catch me, take me to the planet O.

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Buon ascolto

 

Ogni tanto mi capita di imbattermi in una nuova piacevole scoperta musicale. Così, cercando su Youtube Jezebel, pezzo del secolo scorso di Edith Piaf, finisco per trovarne una versione live del 2010 di tale Anna Calvi. Ascolto il pezzo incantato dalla voce ruvida e sexy di questa ragazza e alla fine riesco solo a sussurrare fra me “madonna santa”.

Mi faccio un giro in rete, scopro che trattasi di una ragazza inglese di origine italiana e che è stata lanciata, l’anno scorso, dalla BBC, credo grazie a Brian Eno (con una trasmissione simile alla nostra inguardabile X-Factor) e che il suo primo omonimo disco è stato prodotto da Rob Ellis. Certo detta così sembrerebbe un’artista costruita in studio a tavolino,  tuttavia ha una voce che sa essere calda e cupa e nel suo nuovo primo album si ritrova un grosso lavoro sugli arrangiamenti per una cantautrice/chitarrista rock che lascia trasparire cupe contaminazioni blues. Boh magari è solo un caso e finirà come un qualunque fenomeno di Amici di Maria De Filippi, ma io mi sono procurato il suo primo lavoro “Anna Calvi” e ne consiglio a tutti l’ascolto, intanto vi lascio con “Jezebel” che mi ha fatto letteralmente impazzire.