Abbandonato il mare che provoca inquietudine con le sue minacce,  in cui  Vinicio Capossela ci aveva sprofondati l’anno scorso con il suo “Marinai Profeti e Balene” eccoci, finalmente, approdare nei porti di quella Grecia, culla della cultura mediterranea, a cui noi tutti dobbiamo molta più gratitudine di quanta ne dimostra la paura e le prese di distanza per colpa di uno spread, uno stupido indicatore, che evoca il terrore del fallimento.

Il nuovo “Rebetiko Gymnastas” è, invece, un vero e proprio tributo a una cultura millenaria evocata dal rebetiko (Ρεμπέτικο) un genere sorto negli anni ’30 nelle periferie di Salonicco mischiando assieme la tradizione ellenica, bizantina e ottomana in un genere folk di protesta che canta storie di povertà ed emarginazione.

Capossela decide di reinterpretare in chiave rebetika alcuni suoi pezzi più famosi, senza operare, tuttavia,  un vero e proprio stravolgimento ma trasportando l’ascoltatore in una nuova dimensione; un luogo dello spirito dove si prova un senso di nostalgia per un mondo più a misura d’uomo, dove piuttosto che idolatrare i numeretti che compongono un freddo grafico si preferisce il senso di appartenenza a una comunità e il contatto con la natura e con le tradizioni.

Molto interessanti i pezzi inediti, in particolare quello scelto per aprire l’album,  “Abbandonato”, forse un po’ costruito, e “Rebetico Mou”, una piccola perla, che ricorda il Capossela delle origini.

Dopo l’esperienza mistica ma disorientante del Capossela di “Marinai, Profeti e Balene” e considerando il desolante panorama musicale italiano degli ultimi anni fatto di musicisti, se possibile, più fasulli del programma televisivo che li ha lanciati,  “Rebetiko Gymnastas” è un vero faro nella notte.

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