Un tempo l’Afghanistan si trovava sul percorso della Via della Seta, un reticolo di strade di circa 8.000 km  lungo il quale si sviluppava il commercio fra l’impero romano e quello cinese, un percorso che univa l’Asia meridionale con l’Europa, passando per il Medio Oriente. In particolare la città di Bamiyan ha visto passare e fermarsi, sul suo territorio, diversi popoli e culture; indiani, cinesi, greci, persiani confluirono nella città fra il V e il VI secolo facendone un centro religioso, filosofico e artistico  che tale rimase almeno fino all’invasione islamica del IX secolo.

Uno dei segni più rappresentativi di Bamiyan erano due statue di Buddha, scavate nella roccia fra il VI e il VII secolo e decorate di ori e gioielli.

Le statue hanno resistito nel tempo alle varie conquiste dell’Afghanistan e agli assalti religiosi dei vari conquistatori, hanno resistito fino al 2001, quando i talebani conquistarono il Paese e il clero islamico afgano bandì ogni forma di raffigurazione religiosa, ordinandone la distruzione. Dopo un mese di bombardamenti i due giganteschi Budda di roccia, patrimonio dell’umanità, nonostante la ferma opposizione internazionale, furono così ridotti in briciole. Questo perché eliminare qualunque vestigia di un nemico contribuisce a eliminarne traccia nel cuore di chi potrebbe ribellarsi.

Oggi, come allora, a distanza di vent’anni, non appena sono tornati al potere in Afghanistan, i talebani hanno fatto esplodere la statua di Abdul Azi Mazari, ex leader degli hazara, minoranza sciita afghana, ucciso nel 1995 e considerato eroe per la resistenza, stesso modus operandi e stesso motivo:  eliminare dal cuore degli oppositori ogni briciolo di speranza, cancellare i ricordi.

Quella di colpire le statue non è certo una caratteristica tutta talebana, l’idea di eliminare le tracce del passato dalla storia, per quanto dolorosa questa storia sia, è abbastanza trasversale. Nel 2002 la statua di bronzo di Saddam Hussein, nel centro di Baghdad fu abbattuta da un carro armato americano per essere consegnata alla furia degli iracheni. Nel 2010 invece la città georgiana di Gori rimosse la statua di Stalin per sostituirla con una dedicata ai caduti nella guerra contro la Russia. Sono del 2011, invece, le immagini dei ribelli siriani che appiccano il fuoco alla statua dell’ex presidente Hafez Al Assad nella piazza di Daraa, dopo la rivolta siriana, sorte molto simile ebbe il monumento di Muammar Gheddafi durante la rivoluzione libica, sempre nel 2011.

Certo, ci sono delle volte che ci si lascia anche prendere la mano con questa malsana idea di voler riscrivere la storia.

Nel giugno del 2020, quando il mondo era bloccato a causa della pandemia, migliaia di persone scesero in piazza per dimostrare sostegno al movimento Black lives matter(movimento attivista internazionale impegnato nella lotta contro il razzismo) dopo l’omicidio di George Floyd, un nero di 25 anni, da parte della polizia a Minneapolis, negli Stati Uniti. Durante questa ondata di proteste gli attivisti, come estremo gesto inclusivo, hanno pensato che distruggere il ricordo alcuni personaggi storici non fosse poi una cattiva idea, così con l’obiettivo di sradicare la supremazia bianca, vedremo cadere le statue di Cristoforo Colombo e di altri colonizzatori come Juan de Oñate e Junípero Serra. Ma vedremo anche vandalizzare George Washington, Andrew Jackson, Thomas Jefferson, Ulysses S. Grant e Theodore Roosevelt e rivisiteremo la Guerra di Seccessione rimuovendo le statue del Generale Lee.  Persino in Italia vedremo imbrattare la statua di Montanelli che al di là della sua professione di giornalista era stato comandante durante l’invasione italiana dell’Etiopia, dove aveva anche comprato una bambina di dodici anni.

La parola d’ordine è cancellare per dimenticare, senza contestualizzare o peggio contestualizzando malissimo e spesso funziona; è un modo come un altro per guidare le masse, indottrinare la gente e non importa quale sia il fine, non importa che a farlo siano i cattivi o i buoni, quello che importa è il mezzo ed il mezzo è davvero riprovevole, chiunque sia a pratricarlo.

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