Leverage season 4 – “The Girls Night Out Job”

Ieri sera guardavo l’episodio “The Girls Night Out Job” della quarta stagione di Leverage con il ritorno, come guest star, di Jeri Ryan nei panni della ladra/truffatrice Tara Cole. 

 

Questa mattina mi sono svegliato col bel faccino di Jeri, che fra l’altro seguo  su Twitter, scolpito nella retina ed eccomi qui a parlare di lei.

 

Nata a Monaco da genitori americani il 22 febbraio 1968 Jery Lynn Zimmermann è un’attrice americana famosa per i suoi ruoli in Star Trek: Voyager (l’ex borg 7di9), Boston Public (Veronica “Ronnie” Cooke), Dark Skies e Shark. Dal 2011 interpreta la Dottoreessa Kate Murphy in Body of Proof.

 

La carriera artistica di Jeri inizia sulle passerelle di Miss Illinois nel 1989 per approdare a Miss America dove si classifica terza nel 1990. Da allora una partecipazione in “Un biglietto per due” di Steve Martin e tante guest star in vari telefilm fino a diventare la borg più sexy del quadrante Delta per poi diventare fra le attrici più richieste nella fiction USA.

 

A 44 anni Jeri Ryan è simpaticissima su Twitter e rimane una donna estremamente sexy oltre che una grandissima professionista :-)

 

 

E” incredibile pensare che siano passati 25 anni dalla prima messa in onda di Star Trek: The Next Generation(TNG), nell’ormai lontano 28 settembre 1987In verità la serie arrivò in Italia nel 1991 ma a me sembra davvero come fosse ieri; mi sembra passato un secolo, invece, dalla prima volta che vidi la serie classica (TOS), in bianco e nero, sul vecchio Phonola  di mio padre.

TNG nasce venti anni dopo la chiusura della serie classica: grazie alle repliche di TOS e ai successivi film con protagonisti Kirk & C il fandom di Star Trek continua a crescere. La Paramount decide così  di riproporre la serie aggiornata agli anni ’80 (sarebbe stato difficile far entrare Shatner in una tutina aderente per altri sette anni) ambientandola un secolo dopo, con nuovi protagonisti e una nuova più moderna astronave.

LA STORIA

La nuova serie ricalca in parte il tema dominante della serie classica: una nave stellare, la nuova Enterprise, di classe Galaxy,  matricola NCC 1701D e un equipaggio in missione nel quadrante Alfa per conto della Federazione dei Pianeti Uniti. Sono passati cento anni dalla missione quinquennalle della NCC1701 Enterprise; la Federazione è più matura e nuovi pericoli minacciano la pace nel quadrante. Questa volta i Klingon sono alleati, sulla plancia della nuova Enterprise è persino presente uno di loro, Worf, mentre i romulani continuano ad essere arroccati dietro la zona neutrale e a minacciare saltuariamente i territori federali.

Altri nemici si delineano ai margini del quadrante i Cardassiani con la loro sete di conquista ma sopratutto gli spietati Borg, una razza di cyborg, provenienti dal quadrante Delta, con l’unico obiettivo di “assimilare” ogni forma di vita organica. La nuova Enterprise e il nuovo equipaggio comandato dal capitano Picard viaggierà in missioni diplomatiche (importantissima per le sorti della Federazione la mediazione di Picard nella successione dell’impero Klingon) ma anche in vere e proprie missioni militari.

Nonostante il sub-plot simile, in TNG la parte avventurosa, pur presente, è meno centrale e la nuova serie dimostra una maturità, di fronte a certe tematiche anche “sociali” che TOS non ha mai raggiunto; c’è da dire che, a differenza di TOS, TNG ha avuto più tempo per poter crescere, la prima stagione, in realtà, è decisamente fiacca e solo dalla terza stagione si sono visti episodi realmente memorabili.

L’EQUIPAGGIO

Questo poster mi accompagna da oltre 20 anni

Voler azzardare un paragone fra gli equipaggi di TNG e TOS è impresa ardua.

Picard introverso e riflessivo è diversissimo dall’impulsivo donnaiolo Kirk personaggio in parte ripreso dal primo ufficiale Riker(anche lui nelle ultime stagioni comincia ad avere difficoltà con le tutine),

Spock non ha un vero e proprio omologo anche se Data l’androide alla ricerca dell’umanita, probabilmente ci andrebbe molto d’accordo.

Scotty è stato sostituito da un LaForge spesso troppo ingessato per poterne prendere il posto nel cuore dei fan (per quanto Levar Burton sia davvero simpatico) e il burbero dottor McCoy è stato sostituito indegnamente dalla dottoressa Crusher (nella seconda stagione dalla dottoressa Pulanski)  che non ha realmente ragione di esistere se non per la noiosa storia d’amore mai cominciata con Picard.

Ci sono poi personaggi che non trovano nessun omologo nella TOS.

Il capo della sicurezza della nave: Tasha Yar nella prima stagione e il klingon Worf dalla seconda in poi. Tasha esce dalla serie troppo presto e il suo personaggio, che avrebbe potuto avere un’evoluzione positiva, verrà presto dimenticato per essere sostituito da Worf, un klingon cresciuto in una famiglia umana, il cui personaggio sarà al centro di moltissimi episodi ed evolverà nel corso delle sette stagioni per poi ritrovarsi in Star Trek: Deep Space Nine.

Il Consigliere della Nave, Deanna Troi, in parte betazoide, è dotata di una fortissima empatia: aiuta l’equipaggio in missione nello spazio ad attenuare la tensione, ma in moltissime occasioni è indispensabile a Picard nelle sue missioni diplomatiche.

CURIOSITA’

Nella nuova serie fanno apparizioni come guest star alcuni personaggi della serie classica. Nel pilot “Incontro a Farpoint” appare  DeForest Kelley nei panni di un anziano Dottor McCoy, inoltre nella serie appariranno Spock(Leonard Nimoy) e Scotty(James Doohan). Dalla seconda stagione fa la sua apparizione Guinan (Whoopy Goldberg) che gestirà il bar di prora della nave. Principali innovazioni tecnologiche della nuova serie sono:

i comunicatori, non più portatili (tipo cellulare) ma integrati nel badge sul petto dell’uniforme;
i replicatori particolari dispositivi basati sulla stessa tecnologia del teletrasporto in grado di comporre insieme le molecole per costruire cibo e utensili
– i ponti olografici, particolari habitat dove viene riprodotto un ambiente virtuale utilizzando degli proiezioni olografiche e dei campi di forza

la nuova nave stellare, oltre a tutte le innovazioni, ha un sistema per ricostruire i cristalli di dilitio, indispensabili per la navigazione a curvatura e che spesso lasciavano in panne la vecchia Enterprise di Kirk; da non dimenticare l‘LCARS, la particolare interfaccia full touch-screen dei computer della Federazione.

CREDITS

Capitano Jean-Luc Picard – Patrick Stewart
Comandante William T. Riker – Jonathan Frakes
Tenente Comandante Data – Brent Spiner
Tenente comandante Geordi LaForge – Levar Burton
Tenente Worf – Michael Dorn
Dr. Beverly Crusher – Gates McFadden (1987-1988 / 1989-1994)
Consigliere Deanna Troi – Marina Sirtis
Tenente Natasha Yar – Denise Crosby (1987-1988)
Wesley Crusher – Wil Wheaton (1987-1990)
Dr.Katherine Pulaski – Diana Muldaur (1988-1989)
Capo Miles Edward O’Brien – Colm Meaney (1987-1993)
Guinan – Whoopi Goldberg (1988-1992)
Tenente Ro Laren – Michelle Forbes (1991-1992)
Keiko Ishikawa O’Brien – Rosalind Chao (1991-1993)

Titolo Originale: “Star Trek: The Next Generation”
Creato da: Gene Roddenberry
Produttore Esecutivo: Gene Roddenberry
Prodotto da: Burton Armus, Ira Steven Behr Effetti Speciali: Dick Brownfield Musiche: Jay Chattaway, Alexander Courage, Don Davis, John Debney, Ron Jones, Dennis McCarthy, George Romanis, Fred Steiner, Jerry Goldsmith
Episodi: 278 episodi da circa un ora in sette stagioni andate in onda la prima volta dal 1987 al 1994 (in Italia su Italia 1 dal 1991 al 1997)

Sì lo so che ho alcuni metri lineari di libri da leggere impilati ovunque e sì, anche il Kindle, si sta riempiendo, ma in questi giorni mi sono riletto “La Tuta Spaziale” (Have Space Suit — Will Travel) romanzo per ragazzi scritto nel 1958 da Robert A. Heinlein. Avevo letto La Tuta Spaziale più o meno a 13-14 anni, è stato uno dei miei primi romanzi di fantascienza; ritrovai il libro spiegazzato e polveroso, nella soffitta di mio nonno, Arcangelo, vecchio appassionato di science fiction e noir e lo lessi in un pomeriggio.

Il romanzo di Heinlein racconta la storia di Kip, un ragazzo che ha deciso con tutte le sue forze di andare sulla Luna, ormai colonizzata, e per farlo è disposto a tutto, arruolarsi nelle forze spaziali, diventare ingegnere o medico ma anche… spedire migliaia e migliaia di slogan per partecipare al concorso indetto da una ditta di saponette che ha, come primo premio, proprio un viaggio andata e ritorno sulla Luna.

Kip non vincerà il concorso, pure se il suo è lo slogan selezionato altri avevano inviato la stessa frase prima di lui (ricordatevelo quando vi dicono che fa fede il timbro postale); se pure non può aspirare alla Luna, tuttavia, Kip vince un premio di consolazione: una vera tuta spaziale utilizzata durante la costruzione degli habitat sul nostro satellite che gli viene recapitata a casa fra squilli di trombe e rulli di tamburo.

Certo io una tuta spaziale la terrei in salotto, ma Kip ha  bisogno di soldi per l’università e decide di darla via in cambio di danaro, non prima , però, di averla rimessa in sesto, equipaggiata, rifornita e sopratutto provata. Da qui iniziano le avventure di Kip che lo porteranno da un negozio di frullati in un’oscura provincia americana ad essere rapito dagli alieni e imprigionato su un’astronave insieme a Peewee una ragazzina terrestre coraggiosa e intelligente quanto rompiscatole.  In breve tempo Kip non solo raggiungerà la Luna ma vivrà la più grande avventura che un uomo possa desiderare raggiungendo la Nebulosa Magellanica Minore, sconfiggendo mostri alieni incredibili e terrificanti, incontrando sagge creature millenarie  e contribuendo a salvare l’umanità… il tutto grazie all’aiuto di Oscar, la sua tuta spaziale.

Questo romanzo, nonostante sia un prodotto per adolescenti, rimane fra i migliori della produzione di Heinlein, ma a me, all’epoca, colpì per un altro motivo: la tuta spaziale.

Una tuta spaziale, anche quella descritta da Heinlein nel ’58, è un vero e proprio habitat in miniatura progettato per preservare, accudire e, perché no, coccolare il suo abitante: era proprio quello che mi ci voleva in quel periodo. Facevo brutti sogni e la notte non era proprio amichevole, credo capiti a tutti i ragazzini, dopo quella lettura cominciai ad addormentarmi immaginando di essere in una tuta spaziale, protetto, indistruttibile e pronto per avventure incredibili.

La tuta spaziale fa presto, nella fervida fantasia di un adolescente, a trasformarsi in una potente e invincibile armatura  e sarà forse per questo che ho sempre adorato  anime e film a tema. Visto che ci sono, dunque, è il caso di fare un piccolo riepilogo delle armature, tute ed esoscheletri che hanno accompagnato la mia adolescenza.

5) Saint Seiya – I Cavalieri dello Zodiaco

Le armature di bronzo dei cavalieri di Athena mi hanno sempre affascinato ma hanno il problema di essere, in un certo senso, magiche. Non c’è un reale motivo per cui quei pezzi di latta possano proteggere il corpo dei propri occupanti di cui lasciavano scoperto un buon 60%. In questo senso preferivo le armature dei “cavalieri d’acciaio” comparsi nei primi episodi della prima serie; tre sfigati al soldo della solita Lady Isabel che indossavano però delle avveniristiche armature tecnologiche.

4) Hurricane Polymar

Anche questa non è una vera e propria armatura.  Takeshi indossava una specie di casco da motociclista che aveva al suo interno un sistema tecnologico in grado di liberare il polyment , un particolare polimero che ne riveste il corpo rendendolo indistruttibile e trasformandolo in Polymar. Nemmeno questa è una vera armatura, per quanto indistruttibile e nonostante le capacità di trasformare il corpo di Takeshi in aereo o carro armato.

3) I Centurion

Quanti di voi si ricordano di questa serie animata andata in onda negli anni ’80 su Odeon TV? Sì, immagino che molti di voi non sappiano nemmeno cosa sia Odeon TV. Comunque I Centurion erano Max Ray , per le operazioni marine, Jake Rockwell, per le operazioni terrestri ed Ace McCloud per le operazioni aero-spaziali. I tre Centurions indossavano una suite da combattimento, Exo-Frames, in grado di teletrasportarli sul luogo delle operazioni. Gli Exo-Frames sono anche degli esoscheletri in grado di moltiplicare la forza e l’agilità umana e sono fatti in modo da adattarsi a vari sistemi d’arma che rendono i Centurions delle vere e proprie macchine da guerra.

2) Gordian

Gordian è  il super robot matrioska degli anni ’80 che nasce dalla combinazione  di tre macchine  Protesser, Deringer e Garbin ed è pilotato da Daigo, che entra all’interno di Protesser, il mecha più piccolo, che gli si adatta perfettamente come un’armatura da combattimento. A sua volta Protesser entra in Derringer e così in Garbin a formare Gordian. Già stare dentro Protesser comincia ad avvicinarsi alla mia idea di protezione da Tuta Spaziale, tuttavia non ci siamo ancora, dal momento che Protesser non è una vera armatura ma un mecha pilotato da Daigo con un collegamento telepatico e comunque raramente nella serie lo si vede combattere al di fuori degli alti due mecha.

1) Iron Man

Beh, Iron Man  spiega esattamente cosa io intendo per armatura protettiva.  Iron Man è uno dei più noti personaggi della Marvel Comics: la sua vera identità è quella di Tony Stark, magnate dell’industria bellica che progetta un’armatura composta da casco ( che contiene gps, radio, video comunicatore, comunicatore satellitare, raggi x ed infrarossi, computer, database, scanner), guanti (con raggi repulsori, raggi laser, mitragliatrici laser, emettitori di scudi), stivali( con razzi propulsori, missili, emettitori impulsi magnetici, lanciafiamme), busto (con  creatore di ologrammi, generatore di scudi e campi di forza, torcia, raggio di calore, raggio congelante, raggio paralizzante, laser, EMP), schiena (con eliche di emergenza, propulsori, lancia-missili, aero-freni, emettitore EMP e di scudi). L’armatura di Iron Man è in costante aggiornamento e negli anni ha anche cambiato varie volte colore fino a raggiungere l’attuale rosso e oro.

Fuori concorso ci sarebbe l‘armatura finale la più potente di tutte: Tekkaman

Tekkaman è un’armatura che si fonde con il suo ospite attraverso una camera di trasformazione all’interno del robot Pegas che, al pari di un’avveneristica vergine di Norimberga, tortura il povero George trasformandolo in Tekkaman, ricoprendolo di una corazza indistruttibile, aumentandone la densità e dotandolo e di armi micidiali. Il problema è che un uomo può sopravvivere come  Tekkaman solo per 37 minuti e 33 secondi. Tutto ciò rende l’armatura non sufficientemente amichevole da trascinarmi felicemente nel mondo dei sogni.

Beh detto questo concludo con un interrogativo che ha il sapore di una speranza: chissà se fra qualche anno i miei figli decideranno di leggere “La Tuta Spaziale”, un romanzo scritto nel 1958.

Inizialmente avevo intenzione di parlare del’ultimo  film della trilogia del Batman di Christofer Nolan, poi mi sono reso conto che non solo arrivo ben ultimo ma che non sarei stato particolarmente originale non potendo  aggiungere alcunché  a quanto è già stato detto su Dark Knight Rises.  A voler proprio esprimere un’opinione il Ritorno del Cavaliere Oscuro è un film molto buono, forse un po lento in alcune parti e con qualche buco di sceneggiatura ma per certi aspetti potrebbe essere considerato il migliore della trilogia ciò, ovviamente, se i tre film potessero essere giudicati singolarmente e non come un’unica opera.

 

Quello che  invece farò, è parlare di Bane, il cattivone del film, quello che <spoiler> quasi spezza la schiena a Batman </spoiler>.

 

Quando sono uscito dal cinema la prima impressione su Bane è stata quella di aver visto il villain più ridicolo della storia dei fumetti al cinema. In verità la mia opinione su questo non è granché cambiata   a distanza di una settimana; la maschera con i tubicini che gli conferisce quell’aria da Dart Fener del Wrestling professionistico e la sua uscita di scena degna di Brutus in qualunque striscia di Popeye non rendono certamente onore al super cattivo che, nella saga Knightfall degli anni ’90, spedì Batman sulla sedia a rotelle; tuttavia, per tutta la settimana,  non ho potuto fare a meno di pensare al suo ruolo nella narrazione di quello che non è un film di supereroi come tutti gli altri.

 

Il vero protagonista della pellicola, infatti, non è Batman e non è certo il piccolo Bane; il reale protagonista del film è  la città di Gotham, la sua gente, la società. Eliminato Batman, Gotham City diventa terra di nessuno, diventa una città morta dove Bane e i suoi uomini promettono la libertà dell’anarchia mentre spadroneggiano sulle spoglie della città trucidando i dissidenti e i membri di quella che, con un termine in voga nell’italietta di oggi, si definisce casta. Gli abitanti di Gotham non sembrano particolarmente infastiditi dall’ingombrante presenza di Bane, anzi i più scaltri si uniscono a lui mentre gli altri sembrano rassegnati se non contenti di rinunciare alla libertà in cambio di una sorta di rivalsa nei confronti dei politici corrotti e dei faccendieri che avrebbero affamato il popolo, una rivalsa che ha il  sapore di una riscossa nei confronti di quel capitalismo  selvaggio che mette sempre in secondo piano l‘uomo; non a caso la falsa rivoluzione anarchica di Bane comincia dalla borsa di Gotham/New York.

 

Importa poco che il fine ultimo di Bane sia quello di radere al suolo la città con un ordigno nucleare, quel che conta realmente è che Bane è riuscito nell’intento di dare alla gente una speranza e, nonostante i pochi margini di manovra concessi dalla dittatura anarchica, la gente è riuscita dimostrare inequivocabilmente di essere morta dentro e di meritare davvero l’olocausto che gli si prospetta. Il film riesce a mostrare la parte peggiore dell’umanità a mettere in luce la debolezza che si cela nell’invidia sociale che si traduce in un falso tribunale del popolo dove l’ignorante diviene burocrate per fingere di amministrare un potere che non gli è mai stato realmente conferito.

 

Anche i dissidenti, i partigiani di questa invasione farzesca, non hanno reali argomentazioni contro Bane e contro il nuovo status-quo; a parte Gordon, che ha dalla sua la conoscenza, gli altri combattono per un ideale generico di libertà, una libertà che, a conti fatti, non avevano nemmeno prima, che non hanno mai avuto. Questo è il motivo per il quale i partigiani del film non sono mai realmente pericolosi per i piani di Bane e diventano un simbolo solo quando vengono impiccati mostrando al mondo intero, non solo a Gotham City, che non c’è più speranza.

 

Nemmeno il ritorno di Batman e il suo estremo (si fa per dire) sacrificio, porta ad una vera redenzione, il male continua ad aleggiare sulla città che nonostante le ferite, nonostante sia stata privata della casta è pronta a ricominciare come prima, è pronta ad accogliere un nuovo giustiziere mascherato che l’aiuti a smacchiarsi la coscienza più nera di un pipistrello nella notte.

 

Io non so se  Nolan volesse realmente dire tutte queste cose, probabilmente no, quel che è certo è che io non ho potuto non ritrovare una profonda similitudine fra la realtà immaginaria di una Gotham City corrotta da redimere e  quella forse meno immaginaria ma altrettanto stereotipata della nostra società. Una società dove eliminato un Jocker sono tutti pronti a seguire un pagliaccio, diverso nell’aspetto forse, ma non nel modo di parlare allo stomaco della gente e  ad alimentare i sentimenti peggiori delle persone cavalcandone l’invidia sociale e concedendo loro di vedere la luce da uno spiraglio di libertà che non gli sarà mai concessa.

 

Rileggendo tutto mi sono reso conto di aver parlato del film più di quanto avrei voluto contraddicendo l’inizio del post, ma ormai è fatta…

La foto del post precedente è stata fatta poco prima della mia partemza per Parigi; ho pensato di potarmi qualcosa da leggere ma che non avrei avuto molto tempo per farlo, quindi cosa meglio di qualche racconto? Come si può, dunque, dedurre, ho scelto, per accompagnare questo viaggio, di leggere Ucronie Impure un’antologia a tema ucronico, nata da un concorso  lanciato sul web, alla fine del 2010, da Alessandro Girola, e che ne raccoglie i primi dieci racconti classificati.

 

Il tema allostorico, come si può notare dallo stesso nome di questo sito web, è a me molto caro e devo anche dire che altri racconti a tema ucronico letti in giro per internet non mi hanno granché entusiasmato, quindi in un certo senso partivo prevenuto; in più in passato avevo letto alcune recensioni non del tutto positive relative a Ucronie Impure, anche se poi, alla fine, si scopre che a scriverle non sono personaggi del tutto disinteressati.

 

L’antologia nel suo insieme,da un punto di vista qualitativo, è nettamente superiore a qualunque cosa a tema ucronico autoprodotta  io abbia letto, ma anche alla maggior parte delle pubblicazioni italiane del genere dell’ultimo decennio.

 

Ciò detto è evidente che ci siano racconti migliori di altri, del resto si tratta pur sempre di un concorso e personalmente avrei invertito la terza posizione con la prima[1]. La regina dei pirati d’Atlantide, il racconto di Davide Mana, infatti, è probabilmente quello che mi ha colpito più di tutti con un solo problema: Davide ha messo talmente tanta carne al fuoco in poche pagine che per concludere degnamente la storia ci voleva una trilogia di romanzi. A prescindere dai primi classificati, inoltre, vorrei fare un appunto al racconto di Ferruccio Gianola La fine della diaspora: l’idea di un Generale Custer dittatore degli Stati Uniti con gli indiani d’America organizzati in cellule di resistenza è in assoluto l’ucronia che mi è piaciuta più di tutte, peccato solo che il racconto finisca così in fretta[2]. Ottime anche le idee dei viaggi nel tempo che modificano di volta in volta il presente in Rintocchi di Stefano Sciarpa (anche se non sono certo che rientriamo ancora nel genere ucronico), di Rasputin che governa la Russia con la descrizione del meraviglioso combattimento all’ultimo sangue fra Eva Kant Braun e Marlene Dietrich ne Alla corte del monaco nero, di Cristian Leonardi, delle bombe atomiche cristiane di  Reliquie, di Diego Bortolozzo, della privatizzazione dell’aria da respirare negli USA sotto la presidenza Hoover in Aria, di Mattia Tasso(sperando che questo racconto non lo legga Mario Monti),  alla vita alternativa di Michelangelo e Dante Alighieri ne Il millenario Regno d’Italia, di Ariano Geta,  fino ai robottoni di Squali contro alieni, di Simone Corà

 

Tornando alla vetta della classifica non si può non citare il racconto vincitore del concorso,  Kalokagathia, di Angelo Cavallaro, che parte dalla sconfitta dei Greci a Troia per imbastire un piacevole racconto epico della  nuova guerra fra greci e persiani e il secondo classificato Tlaloc verrà, di Alessandro Forlani (recente vincitore del premio Urania 2011) che ci mostra una Lisbona occupata dagli Aztechi che nonostante i loro rituali fatti di sacrifici tribali, paradossalmnte, importano in Europa una cultura più tollerante e meno oppressiva di quella cristiana. Il racconto di Alessandro Forlani è probabilmente il migliore dal punto di vista stilistico e certamente quello con le maggiori implicazioni socio-politiche.

 

In conclusione Ucronie Impure è una piccola perla dell’editoria italiana autoprodotta e, come se non bastasse, è gratuita scaricabile in formato ePub da qui.

 

[1] chiedo scusa ad Angelo Cavallaro, il vincitore del concorso

[2] questo è un invito a Ferruccio Gianola a scrivere il seguito :-)