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Oggi ero in macchina e mi sono improvvisamente ricordato che dovevo fare un bancomat, il mio contratto però prevede le commissioni per i prelievi da sportelli diversi da quelli della banca emittente (questa è un’altra dolorosa storia), ero ormai lontano dalle solite banche e già immaginavo lo sguardo di riprovazione di Monica per aver tardato a saldare la retta dell’asilo di Pierpaolo. Così, ho preso il cellulare, ho premuto un tasto e ho detto cerca popolare bari casamassima e voilà si è aperto google con le indicazioni di dove dovessi andare(*). Si lo so che lo fanno tutti, però fa tanto computer prepara un the Earl Gray a 42 gradi Celsius e poi mi sono sentito particolarmente allegro anche se dovevo pagare l’asilo :-)

La foto mostra un Commodore Vic 20 utilizzato per inviare messaggistica su Twitter,  certo si fa prima col Blackberry ma vuoi mettere la soddisfazione ;-)

(*) che poi il merito è di Google più che del cellulare

 

Le parole sono importanti, le parole si possono scrivere e si possono pronunciare, le parole possono essere affilate come pugnali, morbide e dolci come Nutella, diaboliche e infide come un politico della “prima repubblica”. Non bisogna avere paura delle parole; bisogna imparare a conoscerle, ad usarle,  conoscere le parole fa la differenza fra chi rientra nel pensiero mainstream e chi ne sta fuori solo perché il proprio pensiero non è in grado di esprimerlo, per poter essere liberi bisogna conoscere le parole.

Una parola può voler dire tante cose anche a seconda del tono in cui viene pronunciata, anche nel modo in cui viene scritta, basta una virgola, la scelta della posizione nella frase a cambiare del tutto il contenuto informativo della comunicazione pur lasciandone identico il significato.

La gente, in generale ha paura delle parole; paura dovuta al rispetto per chi le parole le conosce e paura dovuta al timore di non sapere come usarle. Da queste paure nascono le storpiature, le K messe alla kazzo di kane, le abbreviazioni da Short Message Service (SMS), i beep e gli asterischi a coprirne le vergogne come  una foglia di fico aggiunte ad un quadro rinascimentale o un perizoma per coprire il culo di una bella donna.

Quando si ha  paura delle parole, poi, si comincia a girarci intorno e nascono locuzioni ridicole come “uomo di colore”  per indicare un negro, come se negro fosse dispregiativo o “uomo di colore” avesse un significato o ancora “diversamente abile” per indicare un handicappato.Sulle locuzioni negative utilizzate dai “diversamente intelligenti” per fare affermazioni rimanendo nel politicamente corretto ci sarebbe, in realtà, da scrivere un trattato.

E’ interessante, tuttavia, osservare che lo stesso utilizzo improprio delle parole ha di per sé un significato. Questa considerazione, in particolare, nasce da una delle tante puttanate che girano su Facebook: la foto di un bel bimbo negro che fa il bagnetto e  una frase “questa è da 3 ore che mi strofina…ma l’avrà capito che sono un bimbo di colore“, frase che nelle intenzioni dovrebbe essere contro ogni forma di razzismo ma che denota un’atteggiamento discriminatorio così radicato da farmi accapponare la pelle molto più violentemente che se si fosse trattato di un video con le simpatiche gesta del Ku  Klux Klan.

Sulle parole Francesco Guccini ha scritto, una decina di anni fa, uno dei suoi pezzi più belli:

The Icecreamist, una gelateria  di Londra, a Covent Garden, ha messo sul mercato una nuovo gusto di gelato, il fiordilatte Baby Gaga.

Il gelato, che viene servito in un bicchiere da cocktail, da una cameriera vestita come Lady Gaga, costa ben 23 sterline a porzione ma è un prodotto completamente bio,  fatto con vaniglia del Madagascar, scorzette di limone e… latte materno.

La geniale idea è di Matt O’Conner, il proprietario della gelateria, che a raccontato alla BBC del suo nuovo locale e dei suoi nuovi gusti di gelato.  O’Conner a metà febbraio ha messo su un forum on-line un annuncio per la ricerca di neomamme, in buona salute, da selezionare per ottenere la “materia prima”.  Quindici donne hanno risposto all’annuncio e ognuna di loro è stata pagata con circa 17 euro per 30 cl di “latte versato” per la causa.

Che dire, riprendendo l’intervista di O’Conner, se va bene per i bambini è buono anche per gli adulti e come giustamente dice Victoria Hiley, la donna dal cui latte sono stati prodotti i primi 50 gelati, in un’intervista al Daily Mail… che male c’è a vendere il proprio latte per tirar su un po’ di quattrini :-)

Anche quest’anno un grande spettacolo, anche se per accedere alla città bisogna pagare 10€ ad auto… troppi? Beh meglio gratis ovviamente, ma non mi sembra molto. La sfilata senza le transenne, poi, sicuramente aumenta l’entropia, ma, di certo, rende tutto più coinvolgente.

Partendo da alcune personali riflessioni sull’ignoranza che diventa colpevole quando si ammanta di arroganza voglio raccontare una storia: la storia di Anansi, il dio ragno,  uno dei più importanti e conosciuti dei della mitologia  della zona ovest dell’Africa. Si dice che Anansi abbia creato il Sole, le stelle e la Luna e che avrebbe portato fra gli uomini la conoscenza dell’agricoltura.  La leggenda vuole che un tempo cercò di racchiudere in una zucca tutta la saggezza  fino a quando ne accumulò tanta da rendersi conto di quanto fosse futile il suo tentativo e quanto fosse meglio liberarla nel mondo. Un altro episodio vede Anansi che si reca da suo padre Nyame, il dio del cielo, e gli chiede di diventare  il Re di tutte le storie. Nyame gli dice che se riuscirà a catturare il giaguaro con i denti come pugnali, la vespa che punge come il fuoco e la Fata che nessun uomo ha visto diventerà ciò che desidera. Anansi decide di impegnarsi nelle difficili prove nonostante i dubbi del padre. Inganna il Giaguaro, che voleva mangiarlo, proponendogli un gioco che permette ad Anansi di legarlo. Inganna anche la Vespa fingendo di essere la pioggia ed invitando l’insetto a nascondersi in un calabash dove la cattura. Infine riesce a prendere la fata con il trucco del bambino di pece . Terminati i suoi sforzi porta i trofei a Nyame e diventa il Re delle storie. La mitologia di Anansi si tramanda da secoli prima fra le popolazioni africane (pare che il mito sia originario del regno Ashanti) e fino a spostarsi, a seguito della migrazione degli schiavi  fino ai Caraibi. (fonte Wikipedia)

La storia del dio ragno è bella perché ingenua, è bella perché fa parte delle tradizioni e della cultura di popolazioni che avevano e hanno il diritto di seguire la propria strada, attraversare le proprie ere di pace e di conflitti senza che qualcuno debba globalizzarle ed evangelizzarle, senza che i missionari, avanguardia  di una cultura cristiana in decadenza, debbano andare a cercare nuova linfa in un continente, quello africano, che ha solo bisogno di imparare a camminare con le sue gambe senza trovarsi immerso nei soliti conflitti economico/sociali che non fanno altro che distruggere culture e sterminare intere etnie.  Noi dall’alto della nostra morale cristiano-centrica ipocritamente intrisa di cattolicesimo inputridito ci scandalizziamo di fronte ai riti tribali di popolazioni che li praticano da millenni, dimenticando come eravamo fino a 100 anni fa e pensando di essere migliori, più evoluti; forti di queste convinzioni, poi, non ci facciamo scrupolo a cancellare tradizioni più vecchie del’ave maria e del gloria della soap opera cristiana. Ora, sono certo, che molti (dei pochi) lettori di queste righe staranno per dire… si però i missionari fanno tanto di quel bene a questi poveri negretti… fottetevi, nei rari casi che riescano a fare qualcosa di buono (che NON è impiantare una stramaledetta scuola cattolica nel centro della giungla) NON è MAI gratis.

P.S. Sì lo so fa schifo, gli Skunk Anansie sono finiti nel 2000 però Skin mi attizza sempre ;-)