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Poco prima di Natale, cazzeggiando a Mediaworld, trovo il classico scatolone con le offerte e dentro un tablet 7 pollici a 80 euro. Da un po’ di tempo avevo (e ho) in mente di comprarmi un e-book reader, ma non avendo idea del fatto che l’avrei o meno usato ho sempre rimandato. Preso dallo sconforto delle prossime festività natalizie mi sono detto beh costa poco e lo prendo, lo schermo sarà anche retroilluminato ma posso provare a vedere com’è leggere gli e-book al cesso e male male lo uso per farci girare i cartoni per Pierpaolo.

Il tablet che è una tavoletta made in China, importata in Italia dalla Intreeo, monta Android 2.2 Froyo e si chiama Lenny Tab MID-WL7 Series. Prima d’ora non avevo mai utilizzato uno di questi cosi e a prima vista il giocattolo sembrava molto carino. Dopo averci perso una giornata con i relativamente pochi smanettamenti permessi da Android 2.2 preinstallato ho concluso che l’Android market non avrebbe mai funzionato, il wireless ha una portata massima di 5 metri  e, cosa peggiore, la sensibilità del touch istiga a prenderlo a martellate. Dopo una breve ricerca su internet mi sono reso conto che non era il mio un modello particolarmente sfigato, ma erano tutti così, del resto per 80 euro…

Tuttavia tutti questi problemi a me parevano più che altro di natura software e così googlando vien fuori che esistono delle mod di Android, diciamo delle versioni di Android modificate da smanettoni per le esigenze più svariate. Beh l’informatica è fatta anche di queste cose. Butto il tablet nel cassetto e penso fra me che non avrò mai tempo e voglia di mettermi a installare sistemi operativi “alternativi”.

Questa mattina mi sveglio di pessimo umore complice la precedente giornata di merda e Befana o non Befana, parenti o non parenti, decido, invece, che lo faccio oggi… ogni tanto mi prende così. Dunque fra una pulizia della vasca dei pesci rossi, un pranzo infinito (ho approfittato per dormire sulla sedia mezz’ora fra un secondo e l’altro), il montaggio di una gru giocattolo (sì una gru da cantiere, filo-comandata) alta un metro e venti, il trasloco dei vestiti dismessi dal piccolo e il montaggio del seggiolone sono riuscito a caricare sul Lenny Tab, Uberoid, appunto una mod di Android.

Che poi in realtà la cosa in sé richiederebbe pochi minuti ma ho dovuto fare un po’ di tentativi per trovare la versione corretta da installare. Alla fine di tutto adesso il Lenny Tab è tutta un’altra cosa, il Market funziona, il touch è più reattivo e il wireless ha avuto un notevole miglioramento (non arriva a quello del netbook ma è accettabile) e insomma per 80 euro ne è valsa la pena, anche perché sarà pure retroilluminato, stancherà gli occhi, e magari non potrò leggere col sole ma di notte non devo accendere l’abat-jour :-)

[spoiler show=”Guida all’installazione di Uberoid” hide=”Chiudi Guida all’installazione di Uberoid”]

Riporto una piccola guida per l’intallazione di Uberoid utilizzando Windows, va detto che quanto segue non è un lavoro da “acher”, al contrario, ma se avete il cuore debole e nessuna conoscenza informatica è meglio evitare, anche perché quasi certamente la sostituzione del firmware invaliderà la garanzia. In ogni caso l’installazione di Uberoid cancella ogni programma e configurazione precedentemente fatta sul Lenny Tab, incluso il software preinstallato come Joyplus Office

1) Scaricare Uberoid dal sito TechKnow (richiede registrazione) io ho utilizzato la versione 11 beta 3, la versione 10.1 stabile non funzionava granché bene
2) Decomprimere il file di Uberoid da qualche parte (utilizzare per questo WinRAR o similare)
3) Procurarsi una microSD vuota e formattata metterla nell’apposito lettore per PC (se non lo si ha si può tentare con un cellulare)
4) Lanciare il file changer.bat dalla cartella in cui è stato decompresso Uberoid
5) All’apertura del menu in emulazione DOS (vedi figura) bisogna scegliere il numero della ROM associato alla versione del tablet (il Lenny Tab, ovviamente non c’è nell’elenco, io dopo un po’ di tentativi sono riuscito a farlo andare con la n.30)


6) Procedere alla scrittura sulla microSD indicando la lettera che Windows ha associato al lettore SD. Attenzione ad indentificare la lettera corretta, SDTools propone tutti i dischi presenti sul PC, ho verificato che non formatta il disco scelto prima di copiare Uberoid, ma non si sa mai :-)

7) Al termine della procedura inserire la microSD nel tablet e avviarlo

Il Lenny Tab si aggiornerà da solo in circa 10 minuti, alla fine chiederà di rimuovere la microSD e si riavvierà (attenzione a non rimuovere la microSD durante la procedura).

Dopo il riavvio apparirà una schermata con degli esagoni in movimento che potrebbe rimanere per un tempo anche lungo, non è il caso di preoccuparsi.

Preciso, ovviamente, che questa procedura funziona sul mio Lenny Tab e potrebbe essere diversa, magari, sul Lenny appartenente a un diverso stock, in particolare per la scelta della ROM da associare al modello di tablet, punto 5). Le ROM 7, 10, 11, 20 e 30 sembrano in generale andare (anche se con Uberoid 10.1 a me funzionava solo la 30 molto male)  ma alla fine il tablet potrebbe non funzionare del tutto, quindi non mi assumo responsabilità. In ogni caso se il Lenny si dovesse bloccare (a me è capitato una volta sugli esagoni) reiterare il processo dal punto 3) scegliendo una ROM diversa.

Alla fine di tutto il caro Lenny Tab dovrebbe aprirsi con una schermata simile alla seguente (vabbè questa è un po’ personalizzata ma la sostanza non cambia)


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E’ inutile girarci intorno. Se c’è un oggetto che più di tutti ha influenzato la mia vita è il Commodore 64.

Il Commodore 64 è stato il primo computer ad avere, realmente, una capillare diffusione al di fuori delle aziende. Certo secondo gli standard attuali il C64 è molto meno performante del processore del mio forno a microonde ma avere nel 1982, in casa, un aggeggio che poteva vantare ben 64 KiloByte di RAM, processore a 1 Mhz, grafica a 8 bit con co-processore dedicato VIC II, co-processore audio a tre voci  SID 6581, memoria di massa su musicassetta (Datasette) o su Floppy Disk da 5,25″ (Commodiore 1541), monitor a colori da 13 pollici (Commodore 1701), stampante a 9 aghi (MPS-801)  a qualcosa in più di un milione di lire era davvero incredibile.

Io, in verità non ho mai avuto un Commodore 64, nel 1985, mio padre, mi regalò il Commodore 128, con registratore non Commodore, clone del C1541, monitor Hantarex a fosfori verdi (in grado di sfruttare la modalità 80 colonne del C128), 2 joystick e il mitico copritastiera in plastica rigida, il tutto per qualcosa in più di un milione di lire. Quel coso è stato il più bel regalo della mia vita, passarlo ad un mio cuginetto, quando comprai il mio primo PC  nel 1988 (un Amstrad 3286), probabilmente, una delle più grandi cazzate che abbia mai fatto. Ad ogni modo, nonostante avessi il C128, come tutti, lo utilizzavo in modalità C64, dunque ho imparato a programmare col Basic v2.0, e utilizzavo la sterminata quantità di programmi e giochi per il fratellino minore di casa Commodore, tutti, ovviamente, scarsamente originali e avevo, naturalmente, tutti i numeri della rivista Commodore Computer Club, che oltre ad avere articoli interessantissimi, anche di programmazione, aveva l’interessante caratteristica di mostrare stampe di donne molto discinte derivate da immagini per  Commodore Amiga (vedi la foto sotto, per la cronaca era il numero 56), che per gli adolescenti degli anni 80 con tendenze nerd… Una cosa è certa se non fosse esistito il C64, se mio padre non avesse potuto regalarmi un C128, oggi la mia vita sarebbe certamente diversa, probabilmente farei il professore di fisica in un liceo o , peggio,  l’ingegnere elettronico da qualche parte.

Questo mese, il C64 compie 30 anni dal debutto al Consumer Electronics Show (CES) di Las Vegas, nella prima settimana del  1982, nella sua versione nel formato biscottone marroncino, per poi approdare sugli scaffali dei negozi a stelle e strisce nel mese di agosto. Credo, a questo punto, che festeggerò la ricorrenza facendo un giretto su eBay anche se forse mi cercherò un C128, intanto:

LOAD

PRESS PLAY ON TAPE

READY

[]

 

Su un DEC PDP-11, con sistema operativo UNIX, intorno alla metà degli anni settanta, nacque il C, il linguaggio di programmazione capostipite di tutti i moderni ambienti di sviluppo (argh!) software. Il C è il risultato di un processo di evoluzione che parte dal BCBL sviluppato da Martin Richards, passa per la nascita del linguaggio B a cura di Ken Thompson per arrivare al C grazie a Dennis MacAlistair Ritchie. E’ proprio di dmr che voglio parlare. Ieri, infatti, all’età di 70 anni, si è spento  Dennis Ritchie, uno degli uomini che ha “rivoluzionato l’informatica moderna“, scommetto che questa frase l’avete già sentita in questi giorni… questa volta però è vero! Ritchie, insieme a Ken Thompson, è stato il principale artefice, presso i laboratori Bell,  del sistema operativo UNIX. Ai più, mi rendo conto, questa cosa non dirà nulla, ma UNIX è il padre, praticamente, di tutti i sistemi operativi moderni. Una delle caratteristiche principali di UNIX, rispetto a tutto ciò che c’era prima, è la sua portabilità, il suo essere svincolato dall’hardware della macchina, la possibilità cioè di essere “ricompilato” su diverse piattaforme; non voglio entrare nel tecnico, non è questo il luogo, ma per capirci dentro Linux, Android, iOS, MACOS, c’è molto di UNIX, ma anche DOS e poi Windows devono tantissimo alla creatura di Thompson e Ritchie. In pratica buona parte dei device che oggi affollano le nostre esistenze hanno dentro un pezzetto di UNIX!

Ritchie nella sua vita e per la sua carriera ha avuto un sacco di riconoscimenti, dmr ha lasciato, per il futuro, un’eredità che probabilmente condizionerà le nostre vite per sempre pur se nessuno ne sarà mai consapevole, come ha dimostrato il silenzio colpevole della stampa mainstream che, dopo aver indagato sulla marca dei maglioncini neri a collo alto, non ha dedicato che poche righe, quando è andata bene, alla scomparsa di una di quelle brillanti menti che hanno contribuito allo sviluppo dell’umanità.

void main()
{
while(TRUE);
printf(“Grazie di tutto dmr\n”);
}

Se, come me, avete dei bimbi piccoli non potete fare a meno di Tux Paint. Tux Paint è un programma di disegno, rilasciato con licenza open source, studiato per i più piccoli. Permette il disegno a mano libera utilizzando pennelli, sfumini, pennarelli, gessetti, formine e tutto ciò che può venirvi in mente. Il programma è poi corredato da effetti sonori che lasciano il bambino senza fiato. Pierpaolo ci passa le ore a disegnare e ad ascoltare i suoni degli animali o degli strumenti musciali presenti nell’infinita libreria di forme.

Tux Paint si utilizza tranquillamente col mouse ma se si aggiunge una tavoletta grafica o si ha un monitor touch screen l’esperienza col programma è davvero divertente per un bambino.

Visto che questa settimana da LIDL c’era in vendita una tavoletta graficadi marca Silvercrest a € 49,90, dopo essermi autoconvinto che mi fosse indispensabile e considerando che con i prodotti Silvercrest mi sono sempre trovato bene, ovviamente l’ho comprata; ora io non è che sia un grande esperto di questi aggeggi ma come caratteristiche, dimensioni e precisione è paragonabile a marche più blasonate (almeno sulla carta), ad ogni modo, per quanto mi riguarda, il suo dovere lo fa egregiamente e vale tutto il prezzo pagato; inoltre è da almeno 15 anni che non vedo un package di un prodotto informatico così ben curato, c’è persino il manuale cartaceo oltre ad una versione di Corel Draw Essential compresa nel prezzo. Come se non bastasse è pure bella da vedersi:

Quel che poi più conta, alla fine, è che Pierpaolo si sta divertendo un mondo con Tux Paint e con la tavoletta grafica;

è solo da decidere se alla fine crea dei capolavori o delle schifezze inenarrabili, di sicuro la cosa lo diverte molto e comunque gli fa bene. Sotto un “disegno” realizzato con Tux Paint interamente da Pierpaolo “Gaugain” Scattaglia.


Dagli anni ’90 le case discografiche, in crisi di vendita per essere rimaste ancorate a un modello di business obsoleto, che è quello della vendita dei dischi, hanno cominciato a sfornare le boy band da sbattere su MTV per tentare di raccattare qualche spicciolo con i video e i concerti rivolti a un pubblico di teenagers con i gusti indirizzati dalla TV. Si iniziò con i Take That nel 1990 per arrivare ai  Backstreet Boys di tempi più recenti; anche in italia abbiamo avuto i Lunapop ma come sempre da noi le tendenze di oltre Manica/Oceano arrivano in ritardo e più attenuate, c’è da dire, in alcuni casi, per fortuna.

I giapponesi che sono sempre avanti hanno pensato di portare all’esasperazione questa tendenza; così invece di faticare per imporre il successo virtuale ad una popstar hanno pensato di accorciare il percorso e creare direttamente una popstar virtuale che vada in contro alle esigenze del pubblico.

Nasce così Hatsune Miku una rock star sintetica creata da Crypton Media. Hatsune Miku è  o un avatar virtuale olografico che utilizza un sintetizzatore vocale Yamaha Vocaloid e che sta letteralmente facendo il tutto esaurito nei concerti e sta sbancando il mercato dei DVD e dei Blueray. Il video è davvero autoesplicativo.

Che dire: se devo scegliere fra i cantanti fasulli sfornati da X-Factor o dalla De Filippi e Hatsune Miku… beh l’avatar giapponese è mille lunghezze avanti, anche perchè mi ha fatto venire in mente Macross.