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Arrivo discretamente in ritardo a parlare di “Prometeo e la Guerra – 1935”, il primo romanzo di una trilogia scritta da Alessandro Girola. Normalmente non scrivo un post su ogni libro che leggo, anche se dovrei, ma questo romanzo, in un certo senso segna una svolta nel mio modo di fruire dell’esperienza letteraria, ma andiamo con ordine.

“Prometeo e la Guerra – 1935” è un romanzo ucronico con alcuni elementi steampunk che si sviluppa a partire dall’assunto che la Grande Guerra è stata vinta dagli stati dell’Europa Centrale, in particolare dall’Impero Austro-Ungarico e dalla Germania, che ha annesso gran parte della Francia e del Belgio, che la Gran Bretagna sia ridotta ad uno stato satellite, avviato verso una deriva fascista, e che  l’Italia sia smembrata in stati e staterelli, che farebbero l’invidia degli odierni padani.

L’elemento che scatena questa ucronia è la verità sul romanzo più famoso di Mary Shelley. Il mostro di Frankestein, infatti, non è un mito letterario; in questo romanzo di Girola non solo il “mostro” è realtà ma viene prodotto in serie per essere usato come macchina da guerra da parte dell’impero Austro-Ungarico. I “Prometeo”, o più volgarmente gli “Assemblati”, così sono chiamati questi nuovi “mostri”, sono degli uomini ottenuti dalla fusione chirurgica di parti di diversi cadaveri, realizzati per essere più forti e condizionati ad essere docili e mansueti a meno di non essere impiegati in battaglia.

Il romanzo è ambientato nel dopoguerra, fra gli stati “rappacificati” in un nuovo precario equilibrio e racconta le vicende di un l’antropologo, Enrico Laddavero, e del Tenente Clelia Fagan dei Servizi di Sicurezza asburgici chiamati a risolvere il caso dell’omicidio di un parlamentare del Lombardo-Veneto, attribuito a un Prometeo, che, se non chiarito nel più breve tempo possibile, porterà inevitabilmente ad un incidente diplomatico con pesanti ripercussioni sull’esistenza stessa degli Assemblati, che nonostante non siano impiegati in battaglia da un ventennio, con la loro stessa esistenza hanno contribuito (e continuano a farlo) a mantenere in equilibrio il nuovo ordine mondiale.

Prometeo e la Guerra – 1935 è un romanzo davvero piacevole e che scorre velocemente fra le dita(*) lasciando quasi senza fiato il lettore. Se proprio dovessi attribuirgli un difetto è che l’ambientazione ucronica e le trovate fantascientifiche e steampunk sono talmente affascinanti da distogliere dalla narrazione che, in un certo senso, passa in secondo piano.

Molto bella, in particolare, l’appendice finale dove vengono spiegati i rapporti di forza dei vari Stati e l’evoluzione dell’ordine mondiale dopo la guerra del 15-18. Forse questa appendice andrebbe  letta persino prima del romanzo stesso.

Quando dico che “Prometeo e la Guerra -1935” scorre velocemente fra le dita(*) sto utilizzando un modo di dire sempre più vetusto; questo romanzo, infatti, è disponibile solo  come eBook e NON esiste in formato cartaceo ed è stato il primo libro elettronico che io abbia letto su un lettore dedicato. Per leggere questo libro in formato epub, in realtà, non ho usato un ebook reader ma un tablet con un apposito lettore installato e devo dire che l’esperienza non è stata affatto dissimile da quella di leggere un “vero libro” con in più la possibilità di fare annotazioni (senza imbrattare le pagine), di tenere il segno semplicemente mandando a nanna il tablet e di tenere spenta la luce di notte. Certo i libri di carta sono affascinanti, caldi, profumano e bla bla bla… ma in una microSD da 16 gb ci stanno 10 volte i libri che affollano ogni angolo di casa mia :-)

Tornando al romanzo di Alessando Girola, come tutti i suoi ebook, è scaricabile gratuitamente dal suo blog Plutonia Experiment e in questo caso, Vi assicuro, gratuità è tutt’altro che sinonimo di mancanza di qualità.

Era giunto il giorno, il Chopscan era stato posizionato nella Biblioteca del Congresso pronto per essere inizializzato.  La macchina era protetta da un battaglione di Marines in assetto di guerra per via delle minacce dei gruppi fondamentalisti della carta. Il Chopscan, fra pochi minuti avrebbe cominciato a inghiottire ad uno ad uno i milioni di volumi per digerirne il contenuto nel più grosso database del sapere mondiale condiviso. Fra pochi minuti quella carta ingiallita, quell’inchiostro sbiadito dal tempo si sarebbe trasformato in bit e in quella cellulosa, sempre più indispensabile per i bio-processori e sempre più introvabile per via della deforestazione. Fra pochi istanti, quel profumo di carta, quel richiamo nostalgico sarebbe andato in contro al suo inesorabile processo di distruzione, l’inizializzazione del Chopscan avrebbe segnato la fine dell’ultima raccolta di volumi cartacei presente sul pianeta: dovevamo fermarli.

A nulla erano valsi gli appelli accorati, le campagne di sensibilizzazione; non erano servite a niente le raccolte di firme e gli incontri politici, la cellulosa della carta era troppo preziosa per essere sporcata dall’inchiostro e raccolta in quei volumi rilegati tanto scomodi quanto affascinanti, ormai era deciso, anche i trecento milioni di libri della Biblioteca del Congresso, fino ad oggi, preservati dall’UNESCO sarebbero stati distrutti: non potevamo permetterlo.

Non avevamo la forza di affrontare i marines, dovevamo trovare un’altra soluzione ed eravamo pronti a tutto, eravamo anche disposti a farci esplodere, come moderni kamikaze imboccati dalla propaganda talebana, pur di salvare quel sapore di nostalgia, per salvare il mondo della cultura da se stesso. Avevamo previsto tutto e tutto era stato pianificato nei minimi dettagli, non restava che aspettare l’esplosione che avrebbe fermato il Chopscan, almeno per un po’. Io ero lì, fra i giornalisti convocati per la conferenza stampa successiva all’inizializzazione della macchina…

5… sulla mia faccia si era stampato un sorriso

4… adesso dovremo trovare il modo di proteggere la biblioteca per il futuro

3… spero che non riusciranno a collegarmi all’esplosione

2… il mondo ce ne sarà grato, un giorno

1… ci sarà almeno una vergine in paradiso per chi salva un libro

uno scaffale di libri alle spalle del Chopscan esplode, pezzi di legno e brandelli di carta volano nella sala, una scheggia di legno mi colpisce alla mano, fa male mi guardo attorno, i marines cercano di mantenere l’ordine, non sembrano esserci feriti gravi fra i presenti… io sono in stato di shock, non è riuscito a raggiungere la macchina, è morto invano, è la fine: il Chopscan verrà inizializzato e i libri moriranno, per sempre.

Mi piego, raccolgo un brandello di carta ai miei piedi, c’è scritto: – Gli Acari! Escono dalle fottute pagine-, piango.

 

Poco prima di Natale, cazzeggiando a Mediaworld, trovo il classico scatolone con le offerte e dentro un tablet 7 pollici a 80 euro. Da un po’ di tempo avevo (e ho) in mente di comprarmi un e-book reader, ma non avendo idea del fatto che l’avrei o meno usato ho sempre rimandato. Preso dallo sconforto delle prossime festività natalizie mi sono detto beh costa poco e lo prendo, lo schermo sarà anche retroilluminato ma posso provare a vedere com’è leggere gli e-book al cesso e male male lo uso per farci girare i cartoni per Pierpaolo.

Il tablet che è una tavoletta made in China, importata in Italia dalla Intreeo, monta Android 2.2 Froyo e si chiama Lenny Tab MID-WL7 Series. Prima d’ora non avevo mai utilizzato uno di questi cosi e a prima vista il giocattolo sembrava molto carino. Dopo averci perso una giornata con i relativamente pochi smanettamenti permessi da Android 2.2 preinstallato ho concluso che l’Android market non avrebbe mai funzionato, il wireless ha una portata massima di 5 metri  e, cosa peggiore, la sensibilità del touch istiga a prenderlo a martellate. Dopo una breve ricerca su internet mi sono reso conto che non era il mio un modello particolarmente sfigato, ma erano tutti così, del resto per 80 euro…

Tuttavia tutti questi problemi a me parevano più che altro di natura software e così googlando vien fuori che esistono delle mod di Android, diciamo delle versioni di Android modificate da smanettoni per le esigenze più svariate. Beh l’informatica è fatta anche di queste cose. Butto il tablet nel cassetto e penso fra me che non avrò mai tempo e voglia di mettermi a installare sistemi operativi “alternativi”.

Questa mattina mi sveglio di pessimo umore complice la precedente giornata di merda e Befana o non Befana, parenti o non parenti, decido, invece, che lo faccio oggi… ogni tanto mi prende così. Dunque fra una pulizia della vasca dei pesci rossi, un pranzo infinito (ho approfittato per dormire sulla sedia mezz’ora fra un secondo e l’altro), il montaggio di una gru giocattolo (sì una gru da cantiere, filo-comandata) alta un metro e venti, il trasloco dei vestiti dismessi dal piccolo e il montaggio del seggiolone sono riuscito a caricare sul Lenny Tab, Uberoid, appunto una mod di Android.

Che poi in realtà la cosa in sé richiederebbe pochi minuti ma ho dovuto fare un po’ di tentativi per trovare la versione corretta da installare. Alla fine di tutto adesso il Lenny Tab è tutta un’altra cosa, il Market funziona, il touch è più reattivo e il wireless ha avuto un notevole miglioramento (non arriva a quello del netbook ma è accettabile) e insomma per 80 euro ne è valsa la pena, anche perché sarà pure retroilluminato, stancherà gli occhi, e magari non potrò leggere col sole ma di notte non devo accendere l’abat-jour :-)

[spoiler show=”Guida all’installazione di Uberoid” hide=”Chiudi Guida all’installazione di Uberoid”]

Riporto una piccola guida per l’intallazione di Uberoid utilizzando Windows, va detto che quanto segue non è un lavoro da “acher”, al contrario, ma se avete il cuore debole e nessuna conoscenza informatica è meglio evitare, anche perché quasi certamente la sostituzione del firmware invaliderà la garanzia. In ogni caso l’installazione di Uberoid cancella ogni programma e configurazione precedentemente fatta sul Lenny Tab, incluso il software preinstallato come Joyplus Office

1) Scaricare Uberoid dal sito TechKnow (richiede registrazione) io ho utilizzato la versione 11 beta 3, la versione 10.1 stabile non funzionava granché bene
2) Decomprimere il file di Uberoid da qualche parte (utilizzare per questo WinRAR o similare)
3) Procurarsi una microSD vuota e formattata metterla nell’apposito lettore per PC (se non lo si ha si può tentare con un cellulare)
4) Lanciare il file changer.bat dalla cartella in cui è stato decompresso Uberoid
5) All’apertura del menu in emulazione DOS (vedi figura) bisogna scegliere il numero della ROM associato alla versione del tablet (il Lenny Tab, ovviamente non c’è nell’elenco, io dopo un po’ di tentativi sono riuscito a farlo andare con la n.30)


6) Procedere alla scrittura sulla microSD indicando la lettera che Windows ha associato al lettore SD. Attenzione ad indentificare la lettera corretta, SDTools propone tutti i dischi presenti sul PC, ho verificato che non formatta il disco scelto prima di copiare Uberoid, ma non si sa mai :-)

7) Al termine della procedura inserire la microSD nel tablet e avviarlo

Il Lenny Tab si aggiornerà da solo in circa 10 minuti, alla fine chiederà di rimuovere la microSD e si riavvierà (attenzione a non rimuovere la microSD durante la procedura).

Dopo il riavvio apparirà una schermata con degli esagoni in movimento che potrebbe rimanere per un tempo anche lungo, non è il caso di preoccuparsi.

Preciso, ovviamente, che questa procedura funziona sul mio Lenny Tab e potrebbe essere diversa, magari, sul Lenny appartenente a un diverso stock, in particolare per la scelta della ROM da associare al modello di tablet, punto 5). Le ROM 7, 10, 11, 20 e 30 sembrano in generale andare (anche se con Uberoid 10.1 a me funzionava solo la 30 molto male)  ma alla fine il tablet potrebbe non funzionare del tutto, quindi non mi assumo responsabilità. In ogni caso se il Lenny si dovesse bloccare (a me è capitato una volta sugli esagoni) reiterare il processo dal punto 3) scegliendo una ROM diversa.

Alla fine di tutto il caro Lenny Tab dovrebbe aprirsi con una schermata simile alla seguente (vabbè questa è un po’ personalizzata ma la sostanza non cambia)


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Oggi Pierpaolo se ne esce con:
Arcà(1) non sono mai andato nello spazio e nemmeno in treno-,
cioè per lui viaggiare in treno o in astronave è sostanzialmente una questione di mezzo di trasporto e questo, se da un lato è inquietante, spiega cosa sta succedendo, in questi anni, alla science fiction, sopratutto, televisiva.

A parte Stargate Universe, finita ingloriosamente, in TV non si riesce più a vedere un bel fondo stellato e un’astronave con un equipaggio pronto a esplorare nuovi mondi. Per quanto mi riguarda è dalla fine di Star Trek:Deep Space Nine che non c’è una serie TV, chiamiamola di hard science fiction, fatta come si deve. La verità è che la fantascienza dura e pura non tira: negli anni ’60 un tablet che oggi costa 80 euro era uno strumento impensabile, coi comandi vocali si dialogava solo col computer di bordo dell’Enterprise, se dovevi comunicare con qualcuno dovevi chiamare un centralino, i computer, pure quelli fantascientifici, erano grossi, a valvole ed emettevano un sacco di beep. Oggi siamo abituati ad essere connessi 24h su 24h, se mi viene un dubbio su qualcosa lo cerco su Google col Blackberry, in un certo senso oggi è difficile ridestare quel “sense of wonder” che ha fatto la fortuna della SF letteraria e cinematografica negli anni ’60 e ’70. Gli stessi produttori e registi che hanno realizzato piccoli capolavori negli anni ’70 e ’80 hanno cambiato il loro approccio, non cercano più di creare stupore, l’ambientazione fantascientifica, oggi, è diventata solo strumentale a raccontare una storia, una storia che avrebbe potuto essere ambientata, nello stesso modo, in un liceo americano o nel far west. Prendiamo uno dei blockbuster della science fiction di questi anni: “Avatar”(2009). Chiunque ami, almeno un po’, la fantascienza non può non considerare Avatar nulla più che una vaccata immonda eppure produttore, sceneggiatore e regista del film è James Cameron, lo stesso Cameron di Terminator, Aliens, The Abyss, sì OK ha fatto anche Titanic, ma è proprio questo il punto: Avatar poteva essere ambientato su un barcone che affonda, sul pianeta Pandora o nel ballatoio di casa mia, sarebbe rimasto comunque una squallida storia d’amore e d’avventura infarcita di buoni sentimenti, NON c’è un solo elemento fantascientifico nel film realmente indispensabile per narrare la storia, non è Aliens, non è Terminator. Il problema quindi è il pubblico, non voglio credere che sia Cameron a corto di idee; spesso si parla di crisi di idee degli sceneggiatori ma se mio figlio, a quattro anni, non è per niente impressionato dal fatto di poter viaggiare fra le stelle e incontrare Topolino Marziano, hai poco da inventarti nuove storie, nuove tecnologie, nuove civiltà aliene per mio figlio sarà sempre un po’ come vedere uno spettacolo stantio, come può essere per me guardare un teatro di burattini. Sì certo si appassionerà nel vedere le battaglie in computer grafica dei Transformers ma difficilmente riuscirà ad innamorarsi di un futuro sognato, per certi aspetti, persino più arretrato del suo presente  e questo è un maledetto peccato.

(1) sì, mio figlio mi chiama Arcà

Alla veneranda età di 80 anni, stroncato da una grave insufficienza renale ci ha lasciato, il giorno della vigilia di Natale, Jibbs Jr., grande protagonista,  insieme all’ex nuotatore Johnny Weissmuller, dei primi due film della saga cinematografica su Tarzan, nel ruolo di Cheetah(Cita), la scimmia, compagna inseparabile dell’uomo della giungla, creato dalla penna di Edgar Rice Burroughs.

Jibbs Jr. viveva, dal 1960, nel Suncoast Primate Sanctuary a Palm Harbor, in Florida, dove, fino a pochi giorni fa, allietava i turisti con le sue performance e dove amava dipingere le sue “opere d’arte” astratte, suonare il pianoforte e ascoltare musica religiosa. Jibbs è entrato anche nel Guinness dei Primati per la sua longevità, inusuale per la sua specie. Nel 2009 la vita di Cheetah era divenuta pubblica grazie a un’autobiografia, “Me, Cheetah, curata dallo scrittore James Lever.

Un caro saluto a un mito della mia infanzia. R.I.P.