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Sì lo so che ho alcuni metri lineari di libri da leggere impilati ovunque e sì, anche il Kindle, si sta riempiendo, ma in questi giorni mi sono riletto “La Tuta Spaziale” (Have Space Suit — Will Travel) romanzo per ragazzi scritto nel 1958 da Robert A. Heinlein. Avevo letto La Tuta Spaziale più o meno a 13-14 anni, è stato uno dei miei primi romanzi di fantascienza; ritrovai il libro spiegazzato e polveroso, nella soffitta di mio nonno, Arcangelo, vecchio appassionato di science fiction e noir e lo lessi in un pomeriggio.

Il romanzo di Heinlein racconta la storia di Kip, un ragazzo che ha deciso con tutte le sue forze di andare sulla Luna, ormai colonizzata, e per farlo è disposto a tutto, arruolarsi nelle forze spaziali, diventare ingegnere o medico ma anche… spedire migliaia e migliaia di slogan per partecipare al concorso indetto da una ditta di saponette che ha, come primo premio, proprio un viaggio andata e ritorno sulla Luna.

Kip non vincerà il concorso, pure se il suo è lo slogan selezionato altri avevano inviato la stessa frase prima di lui (ricordatevelo quando vi dicono che fa fede il timbro postale); se pure non può aspirare alla Luna, tuttavia, Kip vince un premio di consolazione: una vera tuta spaziale utilizzata durante la costruzione degli habitat sul nostro satellite che gli viene recapitata a casa fra squilli di trombe e rulli di tamburo.

Certo io una tuta spaziale la terrei in salotto, ma Kip ha  bisogno di soldi per l’università e decide di darla via in cambio di danaro, non prima , però, di averla rimessa in sesto, equipaggiata, rifornita e sopratutto provata. Da qui iniziano le avventure di Kip che lo porteranno da un negozio di frullati in un’oscura provincia americana ad essere rapito dagli alieni e imprigionato su un’astronave insieme a Peewee una ragazzina terrestre coraggiosa e intelligente quanto rompiscatole.  In breve tempo Kip non solo raggiungerà la Luna ma vivrà la più grande avventura che un uomo possa desiderare raggiungendo la Nebulosa Magellanica Minore, sconfiggendo mostri alieni incredibili e terrificanti, incontrando sagge creature millenarie  e contribuendo a salvare l’umanità… il tutto grazie all’aiuto di Oscar, la sua tuta spaziale.

Questo romanzo, nonostante sia un prodotto per adolescenti, rimane fra i migliori della produzione di Heinlein, ma a me, all’epoca, colpì per un altro motivo: la tuta spaziale.

Una tuta spaziale, anche quella descritta da Heinlein nel ’58, è un vero e proprio habitat in miniatura progettato per preservare, accudire e, perché no, coccolare il suo abitante: era proprio quello che mi ci voleva in quel periodo. Facevo brutti sogni e la notte non era proprio amichevole, credo capiti a tutti i ragazzini, dopo quella lettura cominciai ad addormentarmi immaginando di essere in una tuta spaziale, protetto, indistruttibile e pronto per avventure incredibili.

La tuta spaziale fa presto, nella fervida fantasia di un adolescente, a trasformarsi in una potente e invincibile armatura  e sarà forse per questo che ho sempre adorato  anime e film a tema. Visto che ci sono, dunque, è il caso di fare un piccolo riepilogo delle armature, tute ed esoscheletri che hanno accompagnato la mia adolescenza.

5) Saint Seiya – I Cavalieri dello Zodiaco

Le armature di bronzo dei cavalieri di Athena mi hanno sempre affascinato ma hanno il problema di essere, in un certo senso, magiche. Non c’è un reale motivo per cui quei pezzi di latta possano proteggere il corpo dei propri occupanti di cui lasciavano scoperto un buon 60%. In questo senso preferivo le armature dei “cavalieri d’acciaio” comparsi nei primi episodi della prima serie; tre sfigati al soldo della solita Lady Isabel che indossavano però delle avveniristiche armature tecnologiche.

4) Hurricane Polymar

Anche questa non è una vera e propria armatura.  Takeshi indossava una specie di casco da motociclista che aveva al suo interno un sistema tecnologico in grado di liberare il polyment , un particolare polimero che ne riveste il corpo rendendolo indistruttibile e trasformandolo in Polymar. Nemmeno questa è una vera armatura, per quanto indistruttibile e nonostante le capacità di trasformare il corpo di Takeshi in aereo o carro armato.

3) I Centurion

Quanti di voi si ricordano di questa serie animata andata in onda negli anni ’80 su Odeon TV? Sì, immagino che molti di voi non sappiano nemmeno cosa sia Odeon TV. Comunque I Centurion erano Max Ray , per le operazioni marine, Jake Rockwell, per le operazioni terrestri ed Ace McCloud per le operazioni aero-spaziali. I tre Centurions indossavano una suite da combattimento, Exo-Frames, in grado di teletrasportarli sul luogo delle operazioni. Gli Exo-Frames sono anche degli esoscheletri in grado di moltiplicare la forza e l’agilità umana e sono fatti in modo da adattarsi a vari sistemi d’arma che rendono i Centurions delle vere e proprie macchine da guerra.

2) Gordian

Gordian è  il super robot matrioska degli anni ’80 che nasce dalla combinazione  di tre macchine  Protesser, Deringer e Garbin ed è pilotato da Daigo, che entra all’interno di Protesser, il mecha più piccolo, che gli si adatta perfettamente come un’armatura da combattimento. A sua volta Protesser entra in Derringer e così in Garbin a formare Gordian. Già stare dentro Protesser comincia ad avvicinarsi alla mia idea di protezione da Tuta Spaziale, tuttavia non ci siamo ancora, dal momento che Protesser non è una vera armatura ma un mecha pilotato da Daigo con un collegamento telepatico e comunque raramente nella serie lo si vede combattere al di fuori degli alti due mecha.

1) Iron Man

Beh, Iron Man  spiega esattamente cosa io intendo per armatura protettiva.  Iron Man è uno dei più noti personaggi della Marvel Comics: la sua vera identità è quella di Tony Stark, magnate dell’industria bellica che progetta un’armatura composta da casco ( che contiene gps, radio, video comunicatore, comunicatore satellitare, raggi x ed infrarossi, computer, database, scanner), guanti (con raggi repulsori, raggi laser, mitragliatrici laser, emettitori di scudi), stivali( con razzi propulsori, missili, emettitori impulsi magnetici, lanciafiamme), busto (con  creatore di ologrammi, generatore di scudi e campi di forza, torcia, raggio di calore, raggio congelante, raggio paralizzante, laser, EMP), schiena (con eliche di emergenza, propulsori, lancia-missili, aero-freni, emettitore EMP e di scudi). L’armatura di Iron Man è in costante aggiornamento e negli anni ha anche cambiato varie volte colore fino a raggiungere l’attuale rosso e oro.

Fuori concorso ci sarebbe l‘armatura finale la più potente di tutte: Tekkaman

Tekkaman è un’armatura che si fonde con il suo ospite attraverso una camera di trasformazione all’interno del robot Pegas che, al pari di un’avveneristica vergine di Norimberga, tortura il povero George trasformandolo in Tekkaman, ricoprendolo di una corazza indistruttibile, aumentandone la densità e dotandolo e di armi micidiali. Il problema è che un uomo può sopravvivere come  Tekkaman solo per 37 minuti e 33 secondi. Tutto ciò rende l’armatura non sufficientemente amichevole da trascinarmi felicemente nel mondo dei sogni.

Beh detto questo concludo con un interrogativo che ha il sapore di una speranza: chissà se fra qualche anno i miei figli decideranno di leggere “La Tuta Spaziale”, un romanzo scritto nel 1958.

Mi rendo conto che è una coincidenza ma è una coincidenza davvero terribile: la foto sopra è stata scattata alle 19:44 di ieri e io non è che passo normalmente le giornate a fotografare la Luna; mi fa un po’ impressione pensare che mentre guardavo il cielo e nella testa suonavano le note di questa canzone in un ospedale di Columbus, nell’Ohio, stava morendo Neil Armstrong.

Io, purtroppo, non ho avuto la fortuna di assistere allo sbarco sulla Luna, l’ultima missione dell’Apollo fu alla fine del 1972 e io sono nato nel 1973 ma la mia vita e quella della mia generazione è stata pesantemente condizionata da quella prima impronta di Neil Armstrong nella sabbia lunare, da quei primi passi nella ridotta gravità del nostro satellite, da quelle sfida che  ancora una volta, forse per l’ultima volta, ha visto l’uomo andare oltre i suoi limiti per attraversare di nuovo le Colonne d’Ercole dimostrando a se stesso e alle generazioni future che tutto è possibile.

La morte di Neil Armstrong mi ha davvero rattristato non solo perché se n’è andato un uomo buono e un eroe del nostro tempo ma perché la sua scomparsa è come un’ulteriore picconata al primato dell’uomo sull’uomo e diventa per me quasi un simbolo di questa fase dell’umanità che ha in mente solo la crisi, il differenziale dello spread e l’iPhone 5.

Addio Neil.

P.S. Se qualcuno vuole commentare questo post facendomi partecipe della propria personale teoria del complotto sul falso sbarco lunare del 1969, badi bene a nascondersi dietro un proxy, meglio se anonimo