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Ogni tanto si riaccende il dibattito sulla Repubblica di Salò. L’occasione, questa volta, è data da alcuni manifesti apparsi per le strade di Roma e inneggianti i repubblichini  con una frase tratta da una delle canzoni più rappresentative di Francesco Guccini, una canzone, fra l’altro che mi ha accompagnato da ragazzino, se pure è stata scritta un anno prima che io nascessi, e che, in questo senso, ricopre per me un significato particolare.

Sembrerebbe una provocazione, un tentativo di ritorcere una certa retorica comunista contro se stessa, invece no: questi sono proprio deficienti, hanno ascoltato il pezzo di Guccini e non ci hanno capito un cazzo; del resto non è la prima volta. In più di un’occasione mi è capitato di trovare frasi di canzone di Francesco Guccini male interpretate, se non stravolte, da personaggi di una certa frangia della destra estrema convinta di affondare le proprie radici in un substrato culturale che li eleverebbe al di sopra della “gente comune” che si fanno pregio di difendere col loro concetto di destra sociale. Del resto come dice lo stesso Guccini: – le canzoni sono là e la gente le prende a suo uso e consumo – resta il fatto che deve essere triste essere consapevoli di non avere alcun riferimento culturale meno che discutibile, al punto da doversi adattare ad utilizzare quelli degli altri.

Che poi, è bene ricordare che la repubblica di Salò fu una costruzione artificiale nazista realizzata nella stessa terra pregna di ignoranza che oggi foraggia il separatismo leghista, affidata al padre dei gerarchi fascisti e protetta da un esercito di torturatori coperti da simboli di morte che mai hanno combattuto per il bene dell’unità nazionale schierandosi volontariamente dalla parte sbagliata.

Io sono sempre stato del parere che per combattere il problema della sovrappopolazione si debba ricorrere all’eliminazione volontaria dell’individuo, un po’ come si da col Carrousel nella Fuga di Loganl’unico problema è che man mano che invecchio fisso il cristallo rosso lampeggiante sempre più avanti: per adesso è fermo a cinquantacinque anni :-)

Il fatto è che finché queste cose le dico io  cazzeggiando fra cinismo, ironia e qualche verità, la cosa non turba più di tanto l’ordine naturale delle cose; del resto se uno ci riflette un secondo fa presto a trarre le conclusioni che se le risorse del pianeta sono scarsamente sufficienti per una popolazione di 7 miliardi di individui, che vive mediamente 70 anni, diventano gravemente insufficienti se l’età media si alza a 75 e che una possibile soluzione potrebbe essere il controllo delle nascite e (per quanto amorale) dei decessi.

Oggi però a fare un’affermazione, certo meno forte, ma abbastanza in linea col concetto di ottimizzazione delle risorse espresso sopra e sicuramente con un impatto decisamente più dirompente sulle politiche sociali ed economiche del pianeta rispetto ai miei vaniloqui, è niente meno che il Fondo Monetario Internazionale secondo il quale sarebbe necessario porre maggiore “attenzione all’invecchiamento della popolazione e ai rischi addizionali della longevità”  (*) 

Il concetto espresso dal “Rapporto sulla stabilità finanziaria globale”,  sostanzialmente, è che l’allungamento della durata della vita media, che  stando alle stime nel 2050 si allungherà di 3 anni rispetto ad oggi, comporterà un incremento del costo sociale per sostenere l’invecchiamento della popolazione calcolato nel 50% in più rispetto all’attuale causando una situazione insostenibile e da scongiurare in tempo utile preparando subito opportune contromisure.

E’ ovvio che l’FMI non parla di emulare le soluzioni di Logan’s Run, praticando l’eutanasia forzata, ma auspica una profonda riforma del welfare sia nel senso di un aumento età pensionabile e sia nel senso di una riduzione delle prestazioni previdenziali e sanitarie erogabili a carico degli stati.

Insomma, a quanto pare, l’universo si sta mettendo di traverso e il mio sogno di andare in pensione, come mio padre, a 53 anni e di godermi il meritato riposo leggendo le migliaia di libri che già ho in arretrato mentre una badante russa di 25 anni mi prepara la cena e il bagno caldo, è destinato a sfumare; mi toccherà lavorare per sempre o almeno fino a quando, per risparmiare, il medico della ASL mi prescriverà, contro l’influenza suina, del viagra scaduto e verrò stroncato da un infarto senza nemmeno avere una badante a cui badare. Sicuri che non sia meglio il Carrousel?

 

(*) sembra quasi detta dall’ex presidente dell’FMI Dominique Strauss-Kahn durante una selezione per stagiste

Sì, lo so che ultimamente fra riforma delle pensioni, riforma del mercato del lavoro, introduzione dell’IMU e balzelli vari il Primo Ministro Mario Monti non è certo la persona più popolare in questo paese. A dirla tutta nemmeno a me fa piacere sapere di maturare la pensione a 70 anni o di pagare qualche centinaio d’euro di tassa su un immobile che mi indebita con la banca per altri dieci anni, tuttavia il fatto di avere un Primo Ministro sobrio, stimabile, ironico e competente, il fatto di poter tornare a scrivere Italia con l’iniziale maiuscola, il fatto di poter andare in Francia e prendere per il culo Sarkozy senza sentirmi rispondere “bunga bunga” (che in francese suona pure di schifo) mi risarcisce, almeno parzialmente, di tutti i balzelli e le invenzioni contabili introdotte in questi sei mesi dal Governo Monti.

Ad avvalorare questa mia opinione l’ultimo numero di “Amazing Spider-Man”, il 683 del 4 aprile 2012, che vede fra le guest star dello storico fumetto della Marvel, insieme allo scienziato Stephen Hawking, al presidente americano Barack Obama e alla cancelliera tedesca Angela Merkel, riuniti in un G8 d’emergenza a Roma niente meno che il “nostro” Mario Monti.

Nella storia, Spider-Man e i New Avengers, Thor e Capitan America, si presentano al G8 straordinario di Roma, a Palazzo Senatorio, dove si sta discutendo della proposta del Dottor Octopus di mandare in orbita un network di satelliti artificiali per neutralizzare le cause del riscaldamento globale, “tappando” il buco dell’ozono e salvando così il mondo.

Nella tavola sopra si vede, appunto, il primo ministro italiano Mario Monti seduto insieme agli altri grandi del pianeta. In realtà non ci sarebbe nulla di strano in tutto ciò, dal momento che il disegnatore dell’albo è un italiano. Stefano Caselli, che dal febbraio 2011, insieme a Dan Slott ha realizzato alcuni albi di “The Amazing Spider-Man“, infatti, ha potuto scegliere di disegnare Monti dopo che è stata scartata l’idea originale di inserire nell’albo Mahmud Ahmadinejād; mi piacerebbe chiedergli, a questo punto, cosa avrebbe fatto se l’uscita dell’albo fosse stata programmata per 10 mesi fa… secondo me al posto di Monti avremmo avuto Sarkozy :-)

Monti appare anche in una tavola successiva con lo sguardo attonito mentre Spider-Man prende a cazzotti il Premio Nobel per la Pace Al Gore :-) (cosa buona e giusta a prescindere)

In questi giorni le associazioni dei genitori francesi hanno dichiarato guerra ai “compiti a casa”, le attività di doposcuola degli studenti che richiedono ore e ore di lavoro ripetitivo per applicare le quattro nozioni in croce sciorinate a scuola da insegnanti il più delle volte inetti e svogliati.

E’ di ieri la dichiarazione del  Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (finalmente si può scrivere con lettere maiuscole), Francesco Profumo, che suona quasi come un pesce d’aprile

Oggi i ragazzi ricevono molti stimoli anche dall’ambiente extrascolastico, e quindi deve cambiare la struttura dei compiti e delle lezioni », ha chiarito Francesco Profumo durante una visita a due istituti di Ancona. «Se oggi si dà una versione di greco o latino, mi racconta mia moglie che è insegnante, quasi sempre la traduzione si trova su internet. C’è anche un sito specializzato, basta inserire tre parole… Insomma, dobbiamo essere più “smart” dei ragazzi». Più furbi. È necessario, dice Profumo, che gli studenti inseguano noi, e non che noi, gli adulti, inseguiamo loro.

Il ministro apre dunque uno spiraglio all’abolizione dei compiti a casa e parla, sobriamente, di ripensare alla struttura dei compiti e delle lezioni, senza dare diktat inapplicabili o, com’è stato fin’ora, tirar fuori idee balzane partorite dalla fantasia di qualcuno che ha, evidentemente, affrontato la scuola sedendo sui banchi di dietro.

Il modello insegnante che recita la lezione imparata a memoria e studente che deve imparare a memoria la stessa lezione per l‘interrogazione o il compito in classe era ed è anacronistico.  Il migliore punto di vista contrario alle ipotesi del ministro, quello di Giorgio Israel, sul Messaggero, parla dell’ineluttabilità dei compiti a casa, fondamentali per prepararsi a quei sacrifici che saranno necessari al discente per divenire parte integrante della società attiva, specie in questo periodo di austerity.

Sacrificio.

In effetti di questo si tratta. Ricordo fin troppo bene i pomeriggi passati a casa, dopo 5 ore a scuola, a fare i compiti: nessuna attività creativa, nessuna libertà di approfondimento, solo l’applicazione pedissequa delle nozioni malamente esposte durante le scialbe lezioni e certo non perché i miei insegnanti fossero particolarmente incompetenti ma perché proprio il sistema di insegnamento si reggeva e si regge su un modello errato, quello che non lascia libero lo studente di scegliere cosa e, sopratutto, come imparare. Le rare volte che un compito da svolgere era vagamente interessante, quei casi in cui ci si discostava dall’applicazione di nozioni da imparare a memoria, quando avevo la possibilità di far funzionare il cervello, ricordo di aver studiato sempre con piacere, altro che sacrificio, sarà per questo che mi sono sempre piaciute più le scienze delle materie umanistiche.

Lo studio non è sacrificio

Non deve esserlo. Lo studio deve tornare ad essere quello che è sempre stato per dare realmente frutti, un’attività da fare liberamente seguendo la propria indole e le proprie propensioni, per il nozionismo c’è Google. Del resto, parliamoci chiaramente, se uno per lo studio non c’è tagliato, può anche stare in piedi fino a mezzanotte, tediando l’intera famiglia, per cercare di mandare a memoria l’enciclopedia Treccani (o Wikipedia per gli amanti della libera informazione) e pensare di cavarsela al compito in classe, ma rimarrà sostanzialmente un cretino; un cretino che, per di più, non avrà avuto il tempo per studiare veramente.

 

Non è facile rispondere a una domanda come questa, una cosa è certa, se si va a fare un giro in libreria fra vampiri, elfi, draghi e foreste incantate il dubbio viene. Se si guarda il panorama televisivo e cinematografico, poi, ci sono solo supereroi e storie dove la fantascienza è poco più di un labile pretesto, lo stesso Sci-Fi Channel ha cambiato il nome nel ridicolo ed effemminato SyFy quasi a simboleggiare un approccio più morbido al genere.

In realtà la fantascienza non è morta, anzi, in un certo senso, gode di ottima salute, basta cercare sul web, fra e-book e corti autoprodotti si possono trovare concept di qualità persino superiore a qualche produzione professionale. Anche sui media tradizionali, comunque, la fantascienza si ritaglia grossi spazi sia nelle produzioni mainstream che nelle commistioni con altri generi dall’avventura al fantasy (Fringe, Eureka, Terranova, Alphas…)

Quello che davvero manca, dunque, è il pubblico.  Un pubblico abituato a immaginare scenari magnifici di viaggi spaziali su gigantesche astronavi, quel pubblico che seguiva col fiato sospeso i lanci delle missioni Apollo o primi voli dello Shuttle e che amava perdersi nelle avventure di Kirk & co negli anni ’60 e ’70.

La fantascienza, meglio l’hard science fiction, è morta nell’immaginario collettivo, nella mente degli uomini sempre più abituati a fare i conti la realtà, con le bollette da pagare, con la crisi, perché c’è sempre una crisi, nella realtà di quell’umanità che non ha tempo più per sognare e per viaggiare con una fantasia ormai atrofizzata.

Se questa mattina leggere che SyFy ha cancellato  Battlestar Galactica: Blood & Chrome,  senza nemmeno aver trasmesso il pilot, mi ha lasciato perplesso, a farmi riflettere realmente sulla morte della fantascienza è stato quello che ho visto, o meglio che non ho visto, in un centro commerciale oggi pomeriggio. Pierpaolo, mio figlio, ha quasi cinque anni, e fra i suoi giocattoli ci sono tante macchinine, qualche aeroplano ma nemmeno un’astronave. Decido di comprargliene una, ma incredibilmente, su circa 80 metri di corsie riservate ai giocattoli, in un mega centro commerciale Auchan, le uniche astronavi erano quelle della serie Lego Starwars. OK, mi dico, torno a casa e guardo su eBay; tutto ciò solo per scoprire che, anche su internet, non ci sono astronavi giocattolo, ad eccezione di pezzi vintage degli anni ’70-’80 o modellini da collezione di Star Wars e Star Trek.

Maledizione, non fanno più le astronavi giocattolo. 

Torniamo dunque alla domanda originale: la fantascienza è morta? La risposta è: no, ma l’umanità è di molto peggiorata negli ultimi 30 anni.(*)

(*) Non che non lo sapessi già, eh…