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DISCLAIMER: sono consapevole che con questo articolo sto appoggiando un’operazione di viral marketing innescata probabilmente da eventi casuali ma di cui lo studio pubblicitario che ha realizzato questo spot sta cavalcando l’onda, ma a me IKEA piace e per tanto non me ne frega niente.

Abbiamo questo video di 45 secondi girato in una cucina IKEA dove alcuni “mafiosi” stereotipati stanno affrontando il problema dello smaltimento di un “sacco della spazzatura” e della pulizia della presunta “scena del crimine”, una bianca cucina chiaramente made in IKEA. I “mafiosi” parlano fra loro nel tipico “slang” dei film di Scorsese o de “I Soprano” mischiando l’accento siciliano e napoletano. La morale dello spot è che in una cucina IKEA anche un “mafioso” si comporta in maniera più ordinata e ambientalista.

Questa pubblicità ha scatenato in breve tempo un’ondata di polemiche nei soliti blog, su Youtube e ovviamente su Facebook da parte dei soliti personaggi che si sentono offesi quando si parla male del sud. Ora escludendo per un attimo il fatto che lo spot IKEA sia tutt’altro che offensivo nei confronti di qualunque minoranza etnica e volendo prendere per buono il fatto che sia denigratorio nei confronti del nostro tanto amato meridione, analizziamo il messaggio: ci sono delle macchiette di mafiosi con accento pseudo-meridionale, considerato il fatto che la mafia è radicata nel sud italia in diverse forme e dunque non può essere offensivo dire una sacrosanta verità, l’unica cosa che mi viene in mente è che non sia piaciuto il modo ridicolo in cui essa sia stata rappresentata. Mah! Secondo me, la verità, è che il concetto che, realmente, non è andato giù è proprio il messaggio ambientalista. Va bene tutto, gli scippi, gli omicidi, la mafia ma quando mai si è visto un terrone che chiude il rubinetto per risparmiare acqua…

Il nuovo spot IKEA, ad ogni modo, pur non essendo, francamente, un capolavoro, ha raggiunto il suo obiettivo, molto meglio di quanto l’agenzia pubblicitaria si aspettasse. Io, personalmente, non l’avevo visto prima delle polemiche rimbalzate sulla rete e suppongo che sarà lo stesso per qualcuno dei pochi lettori di queste righe. Ad ogni modo, da affezionato cliente IKEA, vorrei sfatare un mito che ho ritrovato in moltissimi commenti che ho letto in giro in questi giorni: che al prezzo mediamente più basso dei concorrenti corrisponda una qualità infima dei mobili IKEA è assolutamente falso. I mobili IKEA sono di qualità media e una volta assemblati correttamente sono resistenti esattamente come quelli acquistati in qualunque mobilificio ad un prezzo mediamente del 30% superiore. Anche la qualità dei materiali è nella media, per una qualità superiore in un mobilificio italiano bisogna essere pronti a spendere dal 200% al 500% in più. Il vantaggio dei mobili IKEA, dunque, è il prezzo (praticamente volendo potrei cambiare arredamento ogni anno) e sopratutto il design: i mobili IKEA sono mediamente belli. L’unico svantaggio, per alcuni,  è che la linea è inconfondibile, in pratica un arredamento IKEA si riconosce subito.  No, non sono stato pagato da IKEA per scrivere questo pezzo, ma tornando al post di ieri i centri commerciali IKEA sono quelli col maggior numero di servizi dedicati alle famiglie.

 

Ho installato sul cellulare una simpatica applicazione che mi dice quali negozi e Centri Commerciali siano aperti la domenica entro 20km dalle mie coordinate. Il giochino funziona anche discretamente e mi dice, in un paio di click, sul Blackberry, dove posso andare col bimbo a passare un paio d’ore, la domenica pomeriggio, al riparo dalla pioggia, da scippatori e delinquenti, dalle voragini nelle strade, dai marciapiedi alti 40 cm, dai pirati della strada, dallo smog; l’applicazione mi dice dove posso andare a fare shopping la domenica con la ragionevole certezza di lasciare l’auto senza lo stress dei parcheggiatori abusivi, dei mezzi pubblici che, strutturalmente, per mancanza di fondi, non possono essere calibrati sulle esigenze di chi semplicemente se ne va al cazzeggio.

L’idea di chi ha sviluppato questa preziosa applicazione, nasce, evidentemente, dal fatto che le normative regionali del settore commerciale individuano un numero ristretto di aperture domenicali/festive, ricalcando, in molti casi, la legge Bersani del ’98 che prevedeva 8 aperture festive annuali oltre al mese di dicembre con la possibilità di deroga per i comuni con un’economia prettamente turistica.

Dunque, quasi sempre,  i centri commerciali la domenica sono chiusi e se per la GdO questo si configura come un danno, esultano i piccoli esercizi commerciali, (in negozietti del centro), che non sono strutturati per tenere aperto la domenica e che già sono in seria crisi per la difficoltà di competere con la GdO.

Per come la vedo io, tuttavia, sarebbe ora di pensare seriamente ad una liberalizzazione del settore del commercio eliminando qualunque tipo di imposizione: dagli orari di apertura, alla definizione dei prezzi al pubblico e delle categorie merceologiche fino alla semplificazione delle procedure per avviare le attività commerciali. In una situazione di questo genere servirebbe solo un organismo di controllo per evitare “cartelli” e si otterrebbe una situazione di reale concorrenza di cui si avvantaggerebbe il consumatore e l’economia del Paese intero (se per far girare l’economia bisogna spendere, personalmente, sono più propenso a farlo quando ho la testa libera dagli impegni di lavoro). Probabilmente a rimetterci sarebbero i piccoli commercianti di cui sopra ma, sul medio periodo a me sembrano comunque destinati a chiudere. Se è vero che la città può essere considerata un centro commerciale all’aperto, infatti, è anche vero che i piccoli commercianti non hanno voluto o non hanno saputo investire per rendere attraente il proprio quartiere, anzi sono sempre stati resistenti a qualunque tentativo di innovazione. Oggi le città sono sporche e pericolose (anche in pieno centro), ma sopratutto non sono dotate di servizi, non esistono bagni pubblici o sono in condizioni pietose, niente parcheggi, poche panchine quasi sempre devastate, nessuna area attrezzata per i piccoli, quasi mai il centro è chiuso al traffico vuoi per le proteste dei residenti ma sopratutto per gli strepitii degli stessi commercianti, i disabili, ma anche semplicemente un passeggino, è costretto a fare gimcane fra le auto parcheggiate e scivoli progettati da malati di mente e comunque, quasi sempre, non a norma. In tutto questo, ovviamente,sono latitanti gli enti pubblici ma di certo l’egoismo del padrone del piccolo negozietto che non riesce in alcun modo a cooperare con i suoi colleghi per rendere migliore la città non aiuta.  Per tutti questi motivi la gente, semplicemente, preferisce andare a spendere il proprio denaro in posti più tranquilli: i centri commerciali, appunto.

Ad essere onesto e cinico della chiusura delle piccole attività commerciali non me ne frega niente, anzi se penso ad alcune amiche costrette a fare le commesse a 800 euro al mese quasi sempre in nero o in grigio e con orari assurdi (tipo dalle 8.00 alle 20.00 con due ore di pausa senza straordinari e senza turni di riposo) mi fa anche piacere vedere fallire certi posti; è vero che i contratti della GdO non brillano per tutela del lavoratore, ma precariato per precariato meglio in un posto dove c’è un minimo di tutele e dove, volendo, la GdF potrebbe intervenire più facilmente.

Rimangono le povere vecchiette che non possono andare a fare la spesa al Centro Commerciale, poverine, uhm, effettivamente c’è mercato… prevedo molte altre  piccole bottegucce e alimentari aperti da cinesi,  indiani, pakistani e nord-africani con pochissimi problemi ad aprire la domenica o a chiudere dopo la mezzanotte. (Un piccolo aneddoto a questo proposito, ero a Firenze qualche settimana fa, alloggiavo in pieno centro, esco dall’albergo verso le 22 per comprare del succo di frutta, entro in un negozio di alimentari aperto e mi sono ritrovato a parlare in inglese con la commessa pakistana)

Nel secondo anniversario del terremoto dell’Abruzzo, quello che ha fatto poco più di 300 morti principalmente a causa di un’imperizia colpevole, quel disastro per il quale, dopo due anni, si continua a piangere all’immane tragedia, proprio mentre a L’Aquila si onoravano le vittime nel Canale di Sicilia, un barcone pieno di migranti affondava mietendo oltre 250 morti. Per queste persone, uomini, donne e bambini pochissimi gesti di cordoglio e tantissimi imbecilli a dire cose del tipo “meglio così, almeno se ne stanno a casa loro” oppure “se ne sono salvati troppi, la prossima volta speriamo muoiano tutti“.

La cosa non mi scandalizza affatto, il decadimento sociale e culturale dell’occidente si vede proprio da queste piccole cose, da queste parole pronunciate da egoisti che pensano di potersi rinchiudere, ignavi, nel proprio piccolo recinto lasciando il mondo fuori a morire mentre la TV gli ricorda, ogni tanto, che essi stessi  sono ancora vivi.

Queste persone sono quelle che ti chiedono se gli ingressi in un paese straniero da parte di individui o gruppi di individui provenienti da paesi “poveri”, vada regolamentato, sono quelle che quando gli parli di vasi comunicanti parlano di annacquamento socio-culturale, quelli che credono di vivere nella migliore delle società possibili e che al di fuori del mondo occidentalizzato non ci sia progresso ma solo regressione, quelli che ti citano a sostegno delle proprie tesi la condizione della donna nel mondo islamico e (questa mi mancava) la riduzione dei topless nei paesi scandinavi.

Certo se il polso della situazione femminile in occidente fosse data dalla quantità dell’esposizione delle mammelle scandinave ci sarebbe da chiedersi se non fosse in caso di appoggiare un nuovo totalitarismo che imponga alle creature nordiche oltre i 24 anni di  tenere le tette nel reggiseno, quanto meno per puri motivi estetici. Si potrebbe anche dire che, se il femminismo in occidente fosse simboleggiato dal numero di poppe al vento, farsi un giro a Fort Lauderdale in piena estate sarebbe equivalente a pregare in una moschea di Kabul.  La realtà, purtroppo, è che la femmina occidentale, oggi, non ha nemmeno lontanamente raggiunto la parità politica, sociale ed economica col maschio ed è tuttora, in varie misure, discriminata. A riprova di ciò basta leggere i commenti di alcuni nostri rappresentanti in parlamento quando affermano che è assolutamente legittimo che una donna possa utilizzare il proprio corpo per fare carriera politica (con riferimento alle note vicende di un culo flaccido che ha fatto sedere dei bei culi su importanti poltrone). Del resto quante sono le femmine che possono andare in giro da sole la sera in una qualunque città italiana senza essere tacciate di zoccole o, peggio, importunate dal maschio arrapato di turno?

Al di là di qualunque cosa  io o chiunque altro possa dire o pensare i flussi migratori NON possono essere fermati. Certo, si potrà sparare a qualche barcone, si potranno mandare indietro un po’ di “clandestini”, si potrà pagare qualche Mafia o qualche dittatore africano per far sparire un po’ di potenziali migranti nel deserto, ma la gente che ha fame NON potrà essere fermata e verrà da noi a chiedere il conto.

L’occidente dovrà, prima o poi prendere atto di questo e avrà due scelte. Potrà accettare i migranti superando il concetto obsoleto e anacronistico di “clandestinità” cercando di integrarli nella struttura sociale, economica e politica e cercando di prendere il meglio del diverso impianto culturale creando un mondo migliore per noi e per i nostri figli oppure opporre resistenza. Il fatto è che nel secondo caso “la resistenza è inutile” perché niente e  nessuno potrà fermare  una massa di persone affamate e perché l’occidente è ormai da più di mezzo secolo “impantanato” e non ha più la forza culturale e sociale per contrastare delle nuove idee o una cultura forte basata in molti casi, ahimè, sui fondamentalismi. Il mondo occidentale, il così detto primo mondo, dunque non potrà fare altro che soccombere e verrà “assimilato” come già sta avvenendo in quelle che sono considerate enclavi mussulmane o cinesi.

Lo scenario che ho descritto però non deve spaventare, sono corsi e ricorsi storici, alla fine dopo un periodo di tensioni, di spargimenti di sangue si ricomincerà in un nuovo mondo diverso da questo, forse migliore, forse peggiore di sicuro ancora caratterizzato dai piccoli egoismi di coloro che crederanno sempre di essere migliori, esponenti di una immaginaria razza ariana e fascisti nell’anima che si credono socialisti o libertari e ancora una volta il mondo sarà insanguinato dai tentativi di riscatto di coloro che saranno relegati ai margini della nuova società.

 

Mi infastidisce molto l’atteggiamento comune di chi di fronte a un problema “epocale” come quello dei “clandestini” provenienti dal Nord Africa nel 2011 reagisce con toni da bifolco razzista terrone: “affondiamo i barconi”, “rimandiamoli a casa”, “ci rubano il lavoro” sempre premesso che “no, io non sono razzista”, certo che non lo sei,  sei un idiota.

L’italia non ha le risorse per far fronte ad un esodo biblico di immigrati provenienti dal Nord Africa, dicono, ma di che stiamo parlando in realtà? I giornali parlano di 6000 clandestini arrivati a Lampedusa, un bel numero non c’è che dire, ma davvero qualcuno mi vuole far credere che un paese di 60 milioni di abitanti non riesce ad occuparsi di 6000 persone? Certo non può occuparsene da sola l’isoletta di Lampedusa, ma un’intera nazione? Cerchiamo di farci un’idea sui numeri dell’immigrazione in italia.

I dati più recenti  (ISTAT) riportano al 1 gennaio 2011 4.563.000 stranieri, pari al 7,5% della popolazione totale, con un incremento, rispetto all’anno precedente, dell’7,45% (328 000 persone). L’OCSE stima gli immigrati clandestini pari a circa il 25% degli immigrati regolari, in pratica ci sono più di 1 milione di immigrati clandestini in italia e di questi più di 80.000 sono arrivati solo nel 2010.

Cazzo, siamo stati invasi dai barconi e non ce ne siamo accorti, dove diavolo era la Marina Militare, e le motovedette italiane comandate da “ufficiali” libici? Vediamo ancora cosa dice l’OCSE in un rapporto del 2009. Il 60-65% dei clandestini in italia ci arriva in maniera LEGALE. In pratica vengono qui con visto turistico o per motivi di studio e poi semplicemente ci rimangono. Un altro 25%, invece, arriva attraverso le frontiere Europee che per il trattato si Shengen non sono controllate. In pratica coi barconi arriva si e no il 10% dei clandestini, nel 2010 poco più di 8000 persone, ecco perché non li avevamo visti… e poi stiamo a dare la caccia ai barconi mentre  firmiamo trattati illegali con “stati canaglia” (ora che l’occidente è in guerra con la Libia si può dire) per bloccarli nei porti?

Torniamo ai nostri 6000 migranti. Alla fine  ci troveremo con qualche migliaio di clandestini in più derivanti da una situazione in Nord Africa che non è esattamente “normale”.  Certamente non può e non deve essere Lampedusa a rimetterci (ma qui si rientra nelle solite inadempienze del governo italiano) ma francamente non  mi sembra che siamo di fronte ad una vera emergenza tale da dire: affondiamo i barconi. Eh ma la Francia non vuole i clandestini, dicono i soliti. Secondo fonti INSEEE  gli stranieri in Francia sono pari 6,7 milioni (nel 1999), circa il 10% della popolazione e si stima che il 23% della popolazione francese ha almeno un genitore o un nonno nato all’estero e il 14% nei paesi del Nord Africa. Ma ci siete mai stati in Francia? Certo la Francia ha una storia diversa da quella del nostro paese ed anche lì c’è una buona dose di idioti, comunque, dal punto di vista dell’integrazione, è anni luce avanti all’italia. Eh ma hanno “sospeso” il trattato di Shengen a Ventimiglia. Vero ma è un problema politico e nessuno ci rimette le penne; è inutile girarci attorno, siamo l’approdo più vicino al Nord Africa (Malta non conta un cazzo), i barconi verranno qui e noi non possiamo farci niente senza rischiare vere e proprie stragi. La questione rimane esclusivamente politica: è necessario condividere il problema dei clandestino con la comunità internazionale e in particolar con l’UE, ma l’italia in questo momento non ha nessun tipo di influenza in alcun consesso estero, anzi, come si è visto dai recenti avvenimenti, i nostri leader vengono per lo più trattati come paria in qualunque incontro di capi di governo e ministri della NATO; l’italia,  quindi,  non ha la forza di imporre, per dire, alla Francia di pigliarsi la sua quota di profughi (su cui, fra l’altro, avrebbe delle responsabilità storiche). Altro che rivolte a Ventimiglia.

Certo che questo “problema” dei clandestini capita, come si suol dire, proprio a fagiuolo….

 

Il titolo del post avrebbe dovuto essere internet e libertà di parola ma sarebbe stato un errore, per esprimere l’IDEA oggi è rimasto solo il web. Mi rendo conto che per molti questa differenza può sembrare sottile fino al punto di credere che le due parole siano sinonimi ma non è così e non è solo un fatto squisitamente tecnico o almeno non lo era. Internet è lo strumento, la rete, su cui si appoggiano diversi servizi, il web (world wide web) è uno di questi, come può esserlo l’e-mail, skype, usenet, FTP…  Il fatto è che il web ha ormai preso piede al punto da diventare esso stesso un contenitore, il principale contenitori di servizi di comunicazione di massa. Questo è successo perché col web è stato fatto un grande lavoro dai tempi di Mosaic. I servizi oggi sono accattivanti e complice la maggiore potenza di calcolo e strumenti di navigazione sempre più pervasivi in termini di piattaforme è possibile accedere al web dal computer, dal cellulare, dal televisore, dalla macchina, praticamente da ogni dove. Il web però ha un grande difetto: tecnicamente i servizi sul web devono essere messi a disposizione da qualcuno e quel qualcuno ha potere di vita o di morte sui contenuti dei servizi. Cerco di spiegarmi meglio, internet nasce come strumento di comunicazione distribuito, la caduta di un nodo della rete, di un server, non causa nessun problema all’infrastruttura nella sua globalità. I primi servizi su internet erano anch’essi distribuiti, è il caso di usenet, per esempio, primo vero strumento di comunicazione di massa ad affacciarsi su internet . Non esiste un fornitore unico del servizio, usenet si appoggia a decine di server in tutto il mondo e nessuno vi può censurare un pensiero perché è (era) virtualmente impossibile cancellarlo da tutti i nodi nei quali viene diffuso e ridistribuito.  Prendiamo invece il caso di Facebook, il più grande social network del pianeta: se io domani scrivessi un pensiero razzista o postassi l’immagine di una bionda con le tettone è quasi certo che verrei censurato dagli scagnozzi di Zuck con la cancellazione del post o l’eliminazione del profilo, tutto legittimo per carità, io sono un ospite e tu fai quello che ritieni opportuno ma è evidente che sul web c’è una libertà di pensiero condizionata, condizionata alla morale della società, al politically correct. Attenzione non parlo di impunità: sia su usenet che sul web ci sono modi per essere realmente anonimi ma quando uso un servizio sul web, anonimo oppure no, quello che scrivo non è davvero quello che penso, perché quello che penso non è quasi mai politicamente corretto e dunque sarebbe rimosso.

Tutto questo per dire che coloro che guardano alla internet di oggi come panacea di tutti i mali, come strumento per sfuggire al controllo imposto sulla TV e sui giornali, si sbaglia di grosso. Abbiamo visto che Internet è molto più potente della TV a livello di pervasività ma paradossalmente, oggi, è facilissima da controllare, al contrario di quello che dicono i giornali o che pensano i blogger; semplicemente oggi internet è ancora sottovalutata dalla politica “vecchia” e “terrona” ma non durerà ancora a lungo.