Articoli

Torniamo a parlare di tecnologia. Il Guardian ci fa sapere che Asus e Acer (dopo che già Dell, HP e Samsung avevano fatto lo stesso nel 2011) hanno chiuso le proprie linee di produzione di netbook, uno dei dispositivi più versatili ed utili mai realizzati in ambito informatico. L’idea di un portatile di dimensioni ridotte e a basso costo faceva così paura che la Apple e lo stesso Steve Jobs, in procinto di lanciare l’iPad,  hanno mosso una vera e propria guerra contro questi dispositivi.

Se c’è una terza categoria di dispositivi deve essere migliore a fare certe cose rispetto ad un laptop o uno smartphone; altrimenti non ha ragione di esistere. Alcuni hanno detto: ‘È il netbook!’ Il problema è che i netbook non sono migliori a fare niente. Sono lenti, hanno display di bassa qualità, e fanno girare vecchio software per PC. Non sono meglio di un laptop, solo costano di meno. Sono solo laptop economici. E noi non pensiamo che siano una terza categoria di dispositivo”.

Steve Jobs visto da NapoliIl motivo, ovviamente, è da ricercarsi esclusivamente in ambito commerciale, non per niente l’attacco più pesante veniva proprio dal re dei markettari, i netbook, infatti non consentono quasi nessun margine di guadagno a differenza dei tablet, tuttavia i due dispositivi sono profondamente diversi e avrebbero potuto tranquillamente coesistere.

Se è vero che l’utilizzo che viene fatto normalmente di un netbook è quello di navigare su internet, esattamente come un tablet (e, a ben pensarci, come un qualunque laptop) è anche vero che il netbook è decisamente più versatile se si decide di utilizzare applicazioni diverse da un browser o da un giochino se non altro per l’interfaccia utente che permettere di scrivere un documento senza dover ricorrere a strani artifici.

Personalmente sono stato felicissimo dell’introduzione di questi giocattoli, sin dal primo eeePc a 7 pollici con disco SSD della Asus. Il netbook è abbastanza piccolo e leggero da permettermi di infilarlo in uno zainetto, di portarlo agevolmente in aereo, in moto, di tenerlo sotto il sedile dell’auto e mi permette di fare praticamente tutto quello che faccio col PC, di scrivere un documento, di mandarlo per posta, di collegarmi in ufficio o a casa. Il tablet, certo, è più portatile (anche se i 10 pollici alla fine hanno un ingombro simile) ma ha uno scopo diverso. Non è meglio o peggio del netbook, è un’altra cosa. Col tablet posso cazzeggiare su internet, usare le app per Facebook, posso giocare ad Angry Birds Star Wars e tante altre attività ma non potrei scriverci questo articolo, o forse sì ma ha prezzo di tali contorsioni da farmene passare la voglia. A dirla tutta io al mio netbook ci sono affezionato come non mi succedeva dai tempi del mio primo Amstrad 3286 mentre il mio (vecchio) tablet (italo-cinese) che pure fa egregiamente il suo lavoro, giace a fare polvere sulla scrivania, soppiantato dal Kindle, nella sua attività di e-book reader.

C”è da dire, poi,  che in un certo senso i netbook hanno consentito di avvicinare ad internet anche chi non può permettersi di spendere 3-400 euro per un tablet decente e rimangono infinitamente più performanti di qualunque schifezza cinese rimarchiata.

Bah, ce ne faremo una ragione anche di questo, del resto il Betamax fu soppiantato dal VHS… intanto vado a cercarmi un nuovo eeePc sotto-costo e me lo tengo di scorta, non si sa mai :-)

RIP netbook.

L’Ultima Thule chiude la carriera musicale di un Francesco Guccini che a 73 anni conclude il suo percorso con la musica con un nuovo album e una conferenza stampa in un circolo Combattenti e Reduci[1] con le luci da balera accese; un incontro con i giornalisti che gli chiedono cosa farà d’ora in poi e a cui risponde esattamente come  mi sarei aspettato:

«Cosa faccio adesso? Leggo. Mi alzo la mattina verso le dieci, dieci e mezza, e leggo. Poi pranzo e guardo i telegiornali e leggo. Ceno e poi leggo»

Cosa volete che faccia uno come Guccini a più di settant’anni.

Non voglio in alcun modo recensire L’Ultima Thule che si riallaccia chiaramente a Stagioni del 2000 e Ritratti del 2004,  secondo un copione che sembra quasi già scritto. L’Ultima Thule è una sorta di testamento musicale con alcuni pezzi anche notevoli ma dove si avverte un Guccini decisamente stanco di cantare, stanco di stare al centro dell’attenzione, stanco di fare il pagliaccio a 70 anni suonato, stanco.

Il primo album di Guccini uscì, praticamente senza alcuna accoglienza di pubblico, nel 1967, 45 anni fa. Guccini, le sue canzoni mi accompagnano dall’adolescenza, più di 25 anni, ahimé. Alcuni pezzi SONO la colonna sonora della mia vita. Guccini con le sue canzoni è stato un faro nella notte, quella notte cantata in Canzoni di Notte; da lui ho imparato molto, i suoi testi mi hanno sempre aiutato indicandomi un punto di vista differente, alternativo (in senso opposto a quello che ci si aspetterebbe) su molti argomenti, su molti aspetti della vita, dell’universo, della società. Ma da Guccini ho  imparato anche, semplicemente, un certo modo di scrivere e di parlare; vi racconto un aneddoto. Dovevo frequentare il terzo o il quarto superiore avevo preso un paio di quattro ai compiti in classe di italiano. Non credo che fossi realmente scarso ma semplicemente scrivere a comando di argomenti di cui non mi interessa non mi ha mai appassionato. Il giorno prima dell’ultimo compito in classe passai tutto il pomeriggio, fino a sera, steso sul mio letto ad ascoltare Francesco Guccini e Fabrizio De Andrè. Il giorno dopo non scrissi un tema, non mi ricordo nemmeno l’argomento, non mi importava, ricordo solo che rielaborai le tre righe della traccia usandole come canovaccio per fare un collage di pezzi delle canzoni che avevo ascoltato per tutto il giorno precedente. A quel compito presi immeritatamente nove, ma anche quello fu un insegnamento: la forma conta più della sostanza specialmente se hai di fronte un imbecille.

La notizia della fine del Guccini cantante giunge praticamente insieme alla morte di mio nonno e ciò un po’ mi fa riflettere se non altro sul fatto che, forse, sto diventando adulto, ma Guccini fa bene a ritirarsi dalle scene musicali l’alternativa sarebbe che morisse per non deludere i fans e francamente non mi sembra il caso (Francesco lo so che ti stai grattando le palle adesso) adesso penso si rimetterà a scrivere romanzi, probabilmente gialli ambientati nella provincia emiliana, che io non leggerò sicuramente… perché Guccini è un’altra cosa, o almeno lo è per me.

[1] Ma quanti “Combattenti e Reduci”, si intente della II Guerra Mondiale, sono ancora vivi?

 

Ieri è morto il padre di mio padre, la persona di cui porto il nome, mio nonno. Non posso dire che ci fosse un legame forte fra noi, lui aveva troppi nipoti e io ho sempre avuto poca pazienza, tuttavia anche lui ha contribuito molto alla mia crescita ma sopratutto in lui, nel suo modo di essere, in molti suoi atteggiamenti mi sono sempre rispecchiato, anche e sopratutto in quelli che non mi sono mai piaciuti.

Ad ogni modo devo dire che, senza alcun motivo particolare, ho sempre provato rispetto per quest’uomo e ciò non mi mai capitato per nessun altro.

Oggi sono stato ai suoi funerali, stranamente vestito di tutto punto, e dopo aver ascoltato il sermone di circostanza del prete avrei tanto voluto intervenire, avrei tanto voluto avere la voglia e  il coraggio di alzarmi in piedi e dire: «fermi tutti, devo dire due parole» se l’avessi fatto ecco, più o meno cosa avrei detto:

 Salve io mi chiamo Arcangelo Scattaglia, sì come quel vecchio laggiù stecchito nella bara: sapete quello era mio nonno, ma sì… molti di voi lo sanno già, altri non mi conoscono e mi sembra ora di fare le presentazioni.

E’ inutile girarci intorno o star qui a imbellettare le parole, Arcangelo Scattaglia era uno stronzo, ma era uno stronzo più o meno come ognuno di voi in questa sala. Era una persona che viveva in questa terra e come me, come voi, è stato alla lungo costretto ad adattarsi a questa società schifosa e lui ci è dovuto rimanere per 93 anni.

Gli piaceva mangiar bene, gli piacevano il buon vino e le belle donne, sì era sposato, a suo modo amava la moglie, ma  erano altri tempi, come si dice l’uomo è cacciatore e stronzate del genere… Tutto sommato ha avuto una bella vita anche se non sempre facile e con un’infanzia complicata ma negli anni ’30 non c’era il Telefono Azzurro e non è che ci fosse qualcuno con un infanzia realmente facile.

Aveva la quinta elementare e penso sia stato bocciato anche qualche volta; probabilmente però ha letto più libri della maggior parte di voi qui dentro, i miei primi libri li ho rubati dalla sua soffitta e fa niente per le pagine rosicchiate dai topi, inoltre aveva un’incredibile conoscenza della geografia. Mi ha sempre stupito il fatto che conoscesse posti di cui io ignoravo totalmente l’esistenza. Quando ero bambino, ricordo che si litigava spesso per nozioni di geografia, naturalmente aveva ragione lui e, naturalmente, io non potevo accettarlo.

Arcangelo Scattaglia avrebbe voluto essere il capostipite di una dinastia, circondato da figli, nipoti e bisnipoti di cui essere il patriarca ma, ahilui, avrebbe dovuto nascere alla fine dell’800 perché, purtroppo, figli, nipoti e bisnipoti non sono mai stati d’accordo con questa sua visione della società e questa cosa del patriarcato, diciamo, è andata un po’ a puttane. Lui diceva che se avesse avuto una figlia femmina le cose sarebbero andate diversamente e forse non aveva tutti i torti.

Mio nonno ha conosciuto gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, era Caporale Maggiore del Regio Esercito del Regno d’Italia nel 1940 o giù di lì, certo conoscendolo si sarà imboscato da qualche parte, del resto dalla Campagna in Albania è tornato giusto con un graffietto che probabilmente ha contribuito a salvargli la vita. No, non sto dicendo che fosse un codardo, ma non è mai stato uno che ci credeva e penso che piuttosto che morire per un coglione che straparla da un balcone a palazzo Venezia e per un italia ancora tutta da costruire preferisse tornare al paesello a coltivare i suoi campi e ad allevare polli e conigli.

C’è da dire che dopo la guerra è stato brigadiere nella P.S. e anche lì non se l’è passata per niente male, assegnato in una Questura  a 10km dal suo paese. Io non ho mai avuto, però, il piacere di vederlo in divisa, da che me lo ricordo è sempre stato in pensione e io ho quasi quaranta anni… cazzo se ha sfruttato l’INPDAP, ahahah.

Mio nonno era un cinico, più o meno come me, se questo funerale non fosse stato il suo sarebbe stato contento della morte di un suo coetaneo e di essere lì, sopravvissuto, a gioirne, beh sì per certi aspetti era davvero uno stronzo; una cosa è certa se avesse potuto sentire le cazzate di circostanza che sono state dette oggi, se avesse visto che i suoi nipoti non hanno avuto nemmeno la compiacenza di portare il suo corpo a spalla per 50 metri, se avesse dovuto ascoltare le stonate litanie della processione di consorelle che disordinatamente hanno accompagnato il suo cadavere verso questo posto fatto di rituali e ipocrisia, beh come minimo ci avrebbe rovinato la festa; l’ha fatto tante volte e per molto meno.

Vogliamo parlare della veglia funebre? E’ stato triste sentire alcune cose col corpo ancora caldo, ma ai falsi e ai bigotti ci sono abituato, però pensate come deve essere stare lì, per quanto morto, in mezzo ad una ventina di persone che passano da un silenzio imbarazzato alla recita di insopportabili litanie e ciò per 24 ore! Una vera tortura, che poi ci avessero messo almeno un sottofondo non dico di rock & roll ma almeno di musica classica.

Certo, è vero, mio nonno con l’età era rincoglionito, non che fosse diventato un baciapile e nemmeno un credente a dirla tutta, ma quando vedi la vita accorciarsi è naturale appoggiarsi a qualcuno che ti promette l’eternità in cambio della libertà e forse non si sarebbe mai opposto a preti e consorelle ma sono certo che in cuor suo avrebbe preferito essere accompagnato, nel suo ultimo viaggio, da un esercito di majorette scosciate che… datemi una A, datemi una R, datemi una C… e così via fra pon pon svolazzanti e tette sballonzolanti.

Comunque è morto com’è vissuto, facendo il cazzo che gli pare senza rendere conto a nessuno. E’ morto una domenica mattina a casa sua, nel suo letto senza soffrire e forse senza nemmeno accorgersene.

Buon viaggio ba’ Arca’

Un caro saluto a Ray Bradbury, un altro autore che ha condizionato la mia vita e che purtroppo oggi ci ha lasciato se pure all’età di 92 anni.

Genitori di origini svedesi nasce in Illinois e si trasferisce, da adolescente, in California dove si approccia alla fantascienza diventandone un vero innovatore.  Probabilmente verrà ricordato per sempre per The Martian Chronicles, una raccolta di racconti incentrati sulla conquista di Marte e sopratutto per Fahrenheit 451, il suo primo romanzo, pubblicato nel 1953 e ambientato in un futuro distopico dove è reato la lettura e dove i libri devono essere bruciati.

In realtà non si contano i racconti e i romanzi di Bradbury che è stato anche un grandissimo sceneggiatore cinematografico e televisivo dove ha scritto anche alcuni episodi di “Ai Confini della Realtà

R.I.P.

Ci lascia ieri, Carlo Fruttero che insieme a Franco Lucentini ha costituito uno dei più splendenti binomi della letteratura italiana, la premiata ditta Fruttero & Lucentini per oltre 50 anni ha firmato saggi giornalistici, traduzioni, antologie e romanzi, soprattutto gialli, opere indimenticabili come la Donna della Domenica o A che Punto è la Notte. Io ricorderò sempre F&L come curatori del più importante periodico di Fantascienza italiano, Urania di Mondadori che è stato da loro diretto dal 1961 al 1986 portando e adattando per l’Italia delle opere incredibili di autori fino ad allora, qui da noi, sconosciuti, come Ballard, Disch, Lovecraft, Matheson, Sheckley, Brown e Frederik Pohl, trasformando Urania, con l’aiuto di Karel Thole,  in una rivista più sofisticata che rimaneva, tuttavia, vicina al lettore e innalzando la fantascienza ad un livello meno fanciullesco, trasformandola in un prodotto più adulto anche se di nicchia.

Carlo Fruttero aveva 85 anni ed è morto nella sua casa di Roccamare, a Castiglione della Pescaia (dopo la scomparsa di Lucentini nel 2002 suicidatosi gettandosi nella tromba delle scale sfiancato dalla lunga malattia) Fruttero era la penna, lo stile del duo e oggi salutiamo per sempre la & più luminosa della letteratura italiana.