Articoli

Il risultato del referendum impone che si debba cercare in ogni modo di trovare nuove fonti alternative di energia. Oggi, purtroppo, la tecnologia è così pervasiva, che nemmeno in spiaggia è possibile stare senza i-Pod, i-Phone, i-Pad e… i-Brator(*) ma come fare per ricaricarli?

Per fortuna ci vengono incontro le energie alternative e invece di dover installare una antiestetica centrale nucleare in riva al mare, rovinando tutto il romanticismo di un bagno al chiaro di Luna, ecco che l’estate 2011 sarà all’insegna del Solar Bikini. Un simpatico e sexy due pezzi ricoperto di placche come un armadillo e con una simpatica porta USB nelle mutande per permettere alla fanciulla di ricaricare i più disparati oggetti del piacere.

Realizzato dal designer americano Andrew Schneider, il solar bikini è dotato di pannelli solari fotovoltaici a film sottile in grado di produrre energia elettrica sufficiente ad alimentare tutti i gadget che una ragazza del 2011 non può non portare con se sulla spiaggia.

Ora non è dato sapere se il solar bikini godrà degli incentivi per il solare previsti nella finanziaria del 2011 è cosa certa che squadre di montatori si stanno attrezzando per aiutare l’ambiante contribuendo alle installazioni di  questa nuova frontiera del’energia pulita.

(*) se davvero non conosci l’iBrator clicca su Show
[spoiler]La prima versione dell’i-Brator pubblicizzata intorno al 2000 

L’ultima versione dell’i-Brator, che segue il nuovo stile della mela morsicata

[/spoiler]

 

Quella dei “cetrioli killer” potrebbe essere una battuta presa a prestito da un romanzo della mia amica Giusy De Nicolo se non fosse che i media hanno davvero lanciato a gran voce l'”allarme cetriolo” a seguito della solita pandemia stagionale. Il risultato del nuovo spauracchio mediatico, oltre al fatto che molte ragazze questa estate dovranno accontentarsi delle zucchine, è secondo il Codacons, che le vendite di frutta e verdura sono già crollate di almeno il 15%. In effetti, ieri, ero al fruttivendolo con Monica e il suo pancione; eravamo in procinto di scegliere i cetrioli per l’insalata, quando un signore si avvicina allarmato per avvisarci del fatto che i cetrioli fossero tutti contaminati… ma si può?!?

Ma cosa è successo? Pare che in Germania un batterio fecale, normalmente innocuo, l’Eserchia Coli  avrebbe contaminato alcuni alimenti, causando la morte di 19 persone (ad oggi). Il primo indiziato fra i cibi infetti è stato il cetriolo e da qui è partita la campagna a favore delle zucchine, generalmente più sottili, ma non ancora in grado di uccidere… Dopo qualche giorno il cetriolo è stato scagionato (sono state trovate tracce del batterio ma non della variante killer) ma nonostante il sospiro di sollievo tirato dalle donne europee e gli improperi dei titolari si sexy shop, che già si fregavano (vabbè) le mani,  la Russia insieme al Libano(?) ha bloccato le importazioni di frutta e verdura dall’UE e anche i consumatori europei sono ancora in preda al panico; stessa cosa dell’aviaria, della mucca pazza e di  tutte le altre pandemie fasulle che ci accompagnano ormai da più di un decennio.

La cosa divertente questa volta, però, che il principale indiziato, il cetriolo, fosse  prodotto da agricoltura bio. In effetti la cosa non è priva di senso. Quando il consumatore si trova di fronte al banchetto di verdura biologica e legge i prezzi dal 30 al 100% in più degli ortaggi (decisamente più gradevoli alla vista) esposti nel banchetto accanto, è convinto di fare un investimento per la salute sua  e della sua famiglia  comprando roba prodotta senza pesticidi chimici, senza OGM e con metodi “naturali”. Peccato, però, che naturale non fa sempre rima con salutare e che in particolare per l’agricoltura biologica “intensiva” (eh sì come credete che i prodotti bio finiscano nella GdO) dovrebbero essere imposti maggiori controlli per evitare possibili contaminazioni “naturali” ma non meno letali. Nel caso dell’e.coli, per esempio, la contaminazione dei cetrioli  potrebbe essere dipesa dal letame che viene utilizzato come concime e che difficilmente viene prodotto “in proprio” dai coltivatori e dunque di provenienza incerta.

Una cosa è sicura: io non posso rinunciare ai cetrioli e ai pomodori d’estate. :-)

 

 

25 anni fa, il 26 aprile del 1986, durante l’esecuzione di un test nella centrale elettronucleare di Chernobyl, a causa di un errore del personale nel corso di una simulazione di guasto al sistema di raffreddamento, le barre di uranio del nocciolo del reattore nucleare numero 4 si surriscaldarono fino alla fusione del nocciolo  con due esplosioni che scoperchiarono la copertura e dispersero nell’atmosfera particelle radioattive. Gli effetti delle esplosioni in pochi giorni si diffusero in tutta l’Europa, italia compresa contaminando l’atmosfera e il terreno se pure in maniera non particolarmente dannosa per gli esseri umani. Ricordo, tuttavia, all’epoca, la corsa ad accaparrarsi le scorte di cibo in scatola, il latte UHT e, per mio sommo gaudio, l’astinenza dalla verdura; i miei genitori, un po’ come tutti, avevano paura, anche perché i media, come al solito, facevano terrorismo e non c’erano informazioni di prima mano. Nel 1986 esisteva ancora l’URSS e la Guerra Fredda, internet non c’era e le informazioni stentavano ad arrivare, la stessa popolazione civile  fu evacuata solo dopo tre giorni nonostante il rischio reale di contaminazione, nessuno davvero sapeva cosa fosse successo… io intanto pensavo a come potesse essere vivere in un rifugio anti-atomico.

Il disastro di Chernobyl riportò nel mondo il terrore dell’atomo (come dicono i giornalisti che evidentemente non sanno di essere fatti di atomi) dopo le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki e convinse molti paesi, fra cui l’italia, a ripensare alle proprie politiche energetiche.

Oggi che Chernobyl cominciava, quasi, ad essere dimenticata è la volta di Fukushima, a ricordarci che la tecnologia, anche la più sicura, ha sempre le sue falle e che in certi casi un errore può costare molto, troppo, caro; questo tuttavia dovrebbe servirci da monito, aiutarci a rimanere in guardia di fronte all’imponderabile non a renderci schiavi del terrore, impauriti come il primo Sapiens di fronte al fuoco.

 

 

 

DISCLAIMER: sono consapevole che con questo articolo sto appoggiando un’operazione di viral marketing innescata probabilmente da eventi casuali ma di cui lo studio pubblicitario che ha realizzato questo spot sta cavalcando l’onda, ma a me IKEA piace e per tanto non me ne frega niente.

Abbiamo questo video di 45 secondi girato in una cucina IKEA dove alcuni “mafiosi” stereotipati stanno affrontando il problema dello smaltimento di un “sacco della spazzatura” e della pulizia della presunta “scena del crimine”, una bianca cucina chiaramente made in IKEA. I “mafiosi” parlano fra loro nel tipico “slang” dei film di Scorsese o de “I Soprano” mischiando l’accento siciliano e napoletano. La morale dello spot è che in una cucina IKEA anche un “mafioso” si comporta in maniera più ordinata e ambientalista.

Questa pubblicità ha scatenato in breve tempo un’ondata di polemiche nei soliti blog, su Youtube e ovviamente su Facebook da parte dei soliti personaggi che si sentono offesi quando si parla male del sud. Ora escludendo per un attimo il fatto che lo spot IKEA sia tutt’altro che offensivo nei confronti di qualunque minoranza etnica e volendo prendere per buono il fatto che sia denigratorio nei confronti del nostro tanto amato meridione, analizziamo il messaggio: ci sono delle macchiette di mafiosi con accento pseudo-meridionale, considerato il fatto che la mafia è radicata nel sud italia in diverse forme e dunque non può essere offensivo dire una sacrosanta verità, l’unica cosa che mi viene in mente è che non sia piaciuto il modo ridicolo in cui essa sia stata rappresentata. Mah! Secondo me, la verità, è che il concetto che, realmente, non è andato giù è proprio il messaggio ambientalista. Va bene tutto, gli scippi, gli omicidi, la mafia ma quando mai si è visto un terrone che chiude il rubinetto per risparmiare acqua…

Il nuovo spot IKEA, ad ogni modo, pur non essendo, francamente, un capolavoro, ha raggiunto il suo obiettivo, molto meglio di quanto l’agenzia pubblicitaria si aspettasse. Io, personalmente, non l’avevo visto prima delle polemiche rimbalzate sulla rete e suppongo che sarà lo stesso per qualcuno dei pochi lettori di queste righe. Ad ogni modo, da affezionato cliente IKEA, vorrei sfatare un mito che ho ritrovato in moltissimi commenti che ho letto in giro in questi giorni: che al prezzo mediamente più basso dei concorrenti corrisponda una qualità infima dei mobili IKEA è assolutamente falso. I mobili IKEA sono di qualità media e una volta assemblati correttamente sono resistenti esattamente come quelli acquistati in qualunque mobilificio ad un prezzo mediamente del 30% superiore. Anche la qualità dei materiali è nella media, per una qualità superiore in un mobilificio italiano bisogna essere pronti a spendere dal 200% al 500% in più. Il vantaggio dei mobili IKEA, dunque, è il prezzo (praticamente volendo potrei cambiare arredamento ogni anno) e sopratutto il design: i mobili IKEA sono mediamente belli. L’unico svantaggio, per alcuni,  è che la linea è inconfondibile, in pratica un arredamento IKEA si riconosce subito.  No, non sono stato pagato da IKEA per scrivere questo pezzo, ma tornando al post di ieri i centri commerciali IKEA sono quelli col maggior numero di servizi dedicati alle famiglie.

 

Domani, per intercessione del Presidente della Repubblica, l’italia tutta festeggia il 150° anniversario della sua unità con un giorno di Festa Nazionale. In pratica domani non si lavora e ciò, a prescindere da ogni considerazione economico/secessionista, è una buona cosa, fosse per me renderei festa nazionale anche l’anniversario della nascita di Umberto da Giussano, altro che cazzi… c’è da dire, tuttavia, che questa è probabilmente la ricorrenza meno sentita dagli italiani per l’assenza sostanziale di qualunque spirito di appartenenza alla nazione.(Mondiali di calcio esclusi, ovviamente)

Le motivazioni di ciò possono essere tante, io, personalmente, in un mondo sempre più globale dove  le telecomunicazioni e la maggiore velocità di spostamento hanno quasi del tutto annullato le distanze e dove strutture sovranazionali, come la stessa Internet, ridimensionano il concetto stesso di nazione sovrana, penso che nel 2011 sia abbastanza anacronistico festeggiare l’unità di un’italia che oggi, come 150 anni fa, non è nel DNA delle genti che popolano la penisola. In poche parole: non me ne frega niente dell’unità d’italia né più né meno di quanto me ne frega del compleanno dell’araldo leghista ma sono felice che si festeggi.

Mentre l’italia è in festa, tuttavia, in Giappone si continua a combattere contro gli effetti dello tsunami che ha devastato il nord-est del paese causando un serio incidente nucleare alla centrale di Fukushima, incidente che, in Europa, ha rinverdito la polemica ambientalista contro il nucleare e che, con un po’ di fortuna, porterà la maggioranza degli italiani a votare sì al referendum anti-nucleare di giugno. Per inciso, nel merito della questione, gli ambientalisti, come sempre, dicono un sacco di puttanate, ma, oggettivamente, solo un masochista farebbe costruire una centrale nucleare, a due passi da casa, in un paese dove non si riesce a finire la Salerno-Reggio Calabria, anche perché il calcestruzzo utilizzato  nei pilastri dei ponti, si scopre  essere non conforme alle normative.

Tornando all’unità d’italia, Massimo D’Azeglio diceva:-Abbiamo fatto l’Italia ora dobbiamo fare gli italiani-. Beh io penso invece che l’Italia non si sia mai fatta se non sulla carta ma gli italiani si riconoscono ovunque. Ripensando al Giappone, ad esempio, il confronto  fra i due popoli è talmente stridente da doversi vergognare della propria cittadinanza: mentre i giapponesi, che travolti dallo tsunami hanno perso tutto, sono ordinatamente in fila a seguire le istruzioni degli altoparlanti, i miei connazionali sono lì a piangere e a gridare al complotto pluto-giudo-massonico perché “intrappolati” nel paese del Sol Levante visto che chi ha cercato di prenotare un volo di ritorno in l’italia per il giorno dopo si è sentito chiedere anche 5000 euro; ovviamente prenotando cinque giorni dopo la tariffa sarebbe stata ben più abbordabile. Avevano paura che gli scoppiasse una centrale nucleare sotto il culo?