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L’eruzione del vulcano Eyjafjallajokull (meno male che devo solo copincollarlo e non pronunciarlo) ha mostrato quanto possa essere vulnerabile l’attuale sistema di trasporti che è ormai alla base del nostro modo di vivere; l’altro giorno parlando con un amico ho tirato fuori: -che ne dici se passiamo il primo maggio a Londra- e poco dopo mi sono reso conto di averlo detto come fosse una cosa normale, come se si trattasse di andare a fare un fine settimana fuori porta. E’ bastata un po’ di “cenere” vulcanica proveniente dall’Islanda, tuttavia, per paralizzare l’intero apparato di trasporti nel Nord Europa, bloccando le attività di capi di stato, capitani di industria e, ci manca poco, pure il calcio. I media sono pieni delle cronache di merci deperibili rimaste a marcire in qualche posto esotico e di gente bloccata nei posti più impensati dove si era recata per motivi assolutamente ludici.
Se da un lato questo breve ritorno a mezzi di trasporti più “slow” può servire a far riflettere su alcuni eccessi dall’altro non si può più tornare indietro, non possiamo immaginare di utilizzare la nave per raggiungere gli Stati Uniti o attraversare l’Europa in convogli trainati da locomotive a vapore. Certo ci sono sempre gli pseudo-intellettuali ambientalisti pronti a inneggiare al vulcano per un ritorno alle origini che vedrebbe, loro, per primi, in serie difficoltà, ma questi è meglio che facciano un brainstorming su come salvare il mondo dai sacchetti di plastica. Dal canto mio, penso che una sciocchezza come un eruzione in Islanda non possa e non debba bloccare metà del mondo e quindi, per quanto io ritenga che le misure intraprese siano state opportune, bisogna immaginare un sistema di trasporti più robusto, che siano treni ad alta velocità o nuovi motori per gli aerei l’Eyjafjallajokull deve insegnarci che dipendiamo da sistemi che si dimostrano ogni giorno fragili e non mi sembra sia il caso di arrendersi a questo.

Torniamo a parlare di assurdi divieti imposti per una fantomatica tutela dell’ambiente. Qualche tempo fa ho scritto a proposito del divieto delle buste di plastica che, pure se rimandato al 2011, si è già trasformato in una nuova vessazione per il consumatore che nella GdO è costretto, di fatto, ad acquistare sacchetti riciclabili che hanno un impatto abientale decisamente maggiore (in quanto prodotti, generalmente, da fibre vegetali) e un costo di vari ordini di grandezza superiori dei comodissimi vecchi sacchetti di plastica (La sporta da casa, ormai è acclarato, non la porta giustamente nessuno). Oggi è la volta di parlare del divieto di vendita delle lampadine a filamento. Quando ho cambiato casa ormai cinque anni fa ho pensato che, tutto sommato, poteva essere una buona idea utilizzare solo lampade a risparmio energetico di tipo fluorescente (CFL) sia per risparmiare sulla bolletta elettrica che per evitarmi la seccatura di sostituire le lampadine, vista la durata dichiarata delle CFL. Certo l’investimento iniziale era decisamente esagerato, ma tutto sommato poteva valerne la pena. Bene, dopo circa tre anni tutte (TUTTE) le lampade a risparmio energetico hanno terminato il loro ciclo vitale (sono morte). Dunque la mia esperienza alla fine è che le CFL costano un botto, fanno una luce schifosa, ci mettono mezz’ora per avere una luminosità accettabile (si anche quelle a preriscaldamento), hanno una vita (in un mondo reale non se accese ininterrottamente per 8 ore) decisamente inferiore di quelle a filamento, hanno una dimensione tale da non poter essere utilizzate in moltissime plafoniere e portalampade, non si possono utilizzare con variatori di luminosità… in pratica sono delle emerite schifezze. Ovviamente dal 2012 queste porcherie, insieme ad alogene e led dovrebbero sostituire le attuali lampade a filamento. Personalmente ad oggi ho sostituito quasi tutte le CFL con alogene e filamento e devo dire che i miei consumi energetici sono spropositati esattamente come prima; dunque anche il risparmio energetico va a farsi benedire, almeno nel mio caso. Per lo smaltimento poi, un conto è gettar via un bulbo di vetro e lamiera, un conto è smaltire un tubo di vetro pieno di gas nobili, materiale fluorescente e circuiti elettronici annegati nella plastica(si perchè questo è una lampada CFL). Devo dire, invece, che con le alogene mi trovo benone, fanno una bella luce e finora non se n’è fulminata nemmeno una. Per le lampade a led, per ora non iluminano granchè ma sono fantastiche (le adoro) come lampade d’arredamento (ho preso una lampadina a led colorati cinese che ho messo nella vetrina dei modellini e fa una luce meravigliosa). In conclusione col costo di una lampada CFL ho acquistato una scorta di lampade a filamento che basteranno anche per i miei nipoti e ancora una volta veniamo presi per il culo come consumatori che da una parte convinti col miraggio del risparmio energetico e dall’altro costretti con le imposizioni siamo obbligati a spendere venti volte tanto per una lampadina.

Prendo spunto dallo strombazzato stop alle auto in Lombardia per fare un altro posto “anti-ambientalista” come quello delle buste di plastica. A parte che fare uno stop alle auto di domenica ha poco piu’ senso che cercare di andare a vendere ghiaccioli al polo sud, a me paiono assurdi, piu’ che altro, i limiti imposti alla circolazione in base all’aderenza dell’autovettura alla normativa euroqualchecosa. Io ho un auto del 2003, euro 3, non so, francamente quali e quanti siano i gas che la mia macchina emette nell’atmosfera e sinceramente non mi interessa nemmeno granche’. Io so solo che la mia auto deve fare il suo dovere almeno per altri 200.000 chilometri e poco importa se per farlo deve emettere nell’atmosfera qualche kg in piu’ di particolato, quello che so per certo e’ che il costo ambientale per smaltire una tonnellata e mezza di acciaio, plastica, liquidi inquinanti e gomma sia certamente superiore a quello di emettere un x per cento in piu’ di qualche cosa (con x piu’ o meno a piacere) come sono sicuro che il costo ambientale per produrre una nuova autovettura sia di qualche ordine di grandezza superiore a quello dovuto all’inquinamento atmosferico di un’auto costruita nel 2003. Poi, certo, sarebbe insensato produrre automezzi inquinanti come negli anni ’60 avendo la tecnologia per ridurne le emissioni ma obbligare i consumatori a sostituire un mezzo in perfetta efficenza per adeguarsi ad assurde normative al solo scopo di poter circolare, in un universo civile, sarebbe considerato delinquenziale, a maggior ragione se si pensa agli interessi in gioco e ai reali beneficiari degli incentivi e delle normative per costringere al rinnovo del parco circolante. Certo oggi nelle citta’ di medie e grandi dimensioni il traffico e’ diventato insostenibile, non solo dal punto di vista ecologico e una soluzione bisognerebbe trovarla, per come la vedo io la via e’ una sola: vietare il traffico a tutti i mezzi privati nelle citta’. Soluzione drastica? Solo una provocazione, ma Vietare il traffico in tutte le grandi citta’, sempre, consentirebbe il funzionamento dei mezzi pubblici di superficie (che andrebbero ovviamente potenziati) e integrando con piste ciclabili (e vietando ovviamente di usare la biciclettra al di fuori di queste) a parte rari casi di reale bisogno (che possono essere gestiti con un servizio pubblico di taxi) praticamente non vedo il motivo di consentire l’uso di autovetture private in nessuna citta’ medio-grande, altro che blocchi domenicali. Certo la mia e’ pura utopia, specialmente in italia dove pensare a un governo che favorisca il servizio di trasporto pubblico a scapito della vendita di autovetture e’ un sogno irrealizzabile. Io dal canto mio darei via, volentieri, un auto, ma piu’ per i costi (assurdi anche questi) di gestione che per un rigurgito di ambientalismo d’accatto, ma purtroppo, ancora una volta, proprio come per la storia del portarsi la sporta al supermercato, non mi sogno nemmeno lontanamente di sacrificare tre o piu’ ore al giorno della mia vita per un risparmio di qualche migliaio di euro l’anno o peggio ancora per evitare di riversare nell’atmosfera residui della combustione del mio obsoleto motore a scoppio.

Leggo un articolo su Repubblica sui vari modi di risparmiare in tempo di crisi. Secondo uno studio di Greenplanet un bambino italiano consuma in media dai 4500 a 6000 pannolini l’anno (da 12 a 16 al giorno, mah!) per un costo che va dai 1500 ai 2000 euro l’anno (anche fossero 6000, io li pago 0,18, quindi poco più di 1000 euro, ri-mah!). Secondo la ricerca, infine, utilizzando i pannolini lavabili, si avrebbe un risparmio triennale di circa 1000 euro.
Mia madre nel lontano 1973 utilizzava proprio questo sistema “new age”, ma solo perchè non erano poi così diffusi i pannolini usa e getta; certo non c’erano i pannolini di canapa e bambù che fanno tanto fighetta radical chic, ma quando mi vede cambiare il pupo in 30 secondi netti usando creme e salviettine di certo non ricorda con dolcezza i tempi in cui mi dimenavo mentre fra borotalco e panni di stoffa cercava di cambiarmi e di sicuro non è legato all’amore il suo ricordo di quando quei panni SPORCHI doveva lavarli, specie quando mi vede gettare il pacchettino del pannolino usato nell’apposito cestino.
Leggendo l’articolo quindi l’unica cosa che mi viene in mente è “mavaffanculo”, di sicuro se certe mamme avessero altro da fare nella vita oltre che lamentarsi al bar con le amiche di quanta fatica gli costi il pupo, subito dopo averlo accompagnato al nido o, peggio, dalla nonna dietro l’angolo e rigorosamente a bordo del SUV di famiglia, non starebbero a menarsela tanto cercando di salvare l’ambiente dai pericolosi pannolini difficilmente biodegradabili.

Nel 1987 fu indetto un referendum per l’abrogazione di una serie di leggi che incentivavano la produzione di energia nucleare in italia, decretando, di fatto la fine dello sviluppo di qualunque programma nucleare e la chiusura delle centrali esistenti. In realtà l’unica centrale effettivamente dismessa fu quella di Caorso mentre le altre tre in attività dagli anni 50 avrebbero comunque terminato il loro ciclo vitale di li a poco. Il referendum fu indetto sull’onda emotiva dell’esplosione del reattore di Chernobyl che nel 1986 tornò ad alimentare in tutto il mondo il terrore del nucleare e la paura della radioattività che andava pian piano assopendosi dopo la guerra e le bombe in Giappone.
Oggi siamo di nuovo pronti a riprendere il programma nucleare ma è probabilmente troppo tardi. Abbiamo bisogno di energia ora non tra vent’anni, inoltre se devo credere a qualcuno preferisco stare a sentire Rubbia piuttosto che qualunque politico, politicante o ricercatore al soldo di questi ultimi. In un’interessante intervista dell’anno scorso, il premio nobel per la fisica, sostanzialmene dice tre cose: non è possibile costruire una centrale nucleare che possa definirsi sicura e a bassa produzione di scorie, che non è una grande idea continuare a produrre energia utilizando materie prime tendenzialmente in via di esaurimento come il petrolio e l’uranio e che il costo di gestione delle centrali nucleari è elevatissimo, tanto da ripercuotersi per un 20% sul ricavo derivante dall’energia prodotta.
Se quanto detto non bastasse vorrei aggiungere che siamo in italia dove hanno seppellito rifiuti speciali nelle discariche di Napoli, dove sono stati messi rifiuti tossici sul fondo delle nuove autostrade e dove veniva usato cemento “impoverito” nelle grandi opere; l’italia non ha più nemmeno professionalità già formate al trattamento dell’energia atomica da quando l’ENEA è stata riformata. A fronte di tutto e in barba al referendum dell’87 (ma questo ci può anche stare) abbiamo appena concluso una serie di accordi con La Francia per la costruzione di 4 nuove centrali di III generazione (che detto così sembrerebbero più innovative delle altre) entro una ventina d’anni o poco meno… brrrrrr…